la Repubblica, 29 luglio 2024
Intervista a Silvia Costa
Silvia Costa, 75 anni, quando è entrata in Parlamento per la Dc c’erano ancora Nilde Iotti e Tina Anselmi.
«Nilde Iotti una volta mi si avvicinò per chiedermi come mi trovassi in Parlamento e nel mio gruppo».
Intendeva nel rapporto col potere maschile?
«Aveva vissuto sulla propria pelle il maschilismo di partito, e credo fosse curiosa di sapere se era ancora difficile per una donna».
Si confidò?
«Le dissi che la fatica per una donna è doppia: essere e dover dimostrare di essere».
Come reagì Iotti?
«Mi incoraggiò a mantenere alta l’autostima. A non mollare».
Coglieva un pregiudizio nell’essere molto bella?
«Non ho mai creduto di esserlo. Una volta chiesero ad Andreotti se apprezzava in me i pregi estetici o l’intelligenza. Rispose che non vedeva opposizione tra le due cose».
Che mondo era l’Italia politica degli anni Ottanta?
«I cronisti ci chiedevano come facessimo a conciliare la vita parlamentare con quella personale. E io rispondevo: perché non fate la stessa domanda ai deputati maschi con quattro figli?».
Le donne erano escluse dai vertici?
«Raramente entravano nei caminetti, i vertici riservati dei big.
Generalmente non occupavano ruoli apicali di partito. Io divenni a 33 anni responsabile della Spes, l’ufficio che curava la comunicazione e le campagne elettorali: ed era la prima volta per una donna nella Dc».
Per emergere serviva un gran carattere?
«Una deputata cattolica di Trento, Lucia Fronza, si presentò alla Camera col suo bel pancione, e Beniamino Andreatta la provocò: “Perché ti sei messa in politica?».
E Fronza?
«”Per pura ambizione”, rispose. Andretta apprezzò. Divennero amici».
Il mensile Class fece un sondaggio tra i deputati per scegliere la parlamentare più sexy. Oggi verrebbe giustamente giù il mondo.
«Ma guardi che lo trovammo intollerabile già allora».
Non si sono fatti passi avanti?
«In parte, ma con perduranti contraddizioni. Ci sono altre forme di pregiudizi e offese e grandi violenze fisiche e psicologiche, come quelle sui social o il body shaming».
Cosa la colpisce?
«Il ridurre la donna a un aspetto soltanto. A questo si aggiunge il mito di una eterna giovinezza, uno stato interiorizzato da troppe, anche dalle giovanissime che si fanno regalare il ritocco a diciotto anni».
Cosa vi coglie?
«Un’incapacità ad accettarsi. Trovo bellissima la frase di Anna Magnani: “Non toglietemi le rughe. Ci ho messo tanti anni per farmele”».
In che famiglia è cresciuta?
«Mio padre, Beppe Costa, era avvocato penalista. Liberale antifascista e anticomunista è stato tra i pionieri della Rai. Mamma, Elvira, donna intelligente e credente, si era sposata a 21 anni, dedicandosi alla famiglia».
Deve a Ciriaco De Mita l’ingresso in Parlamento?
«Sì, ero in lista alle elezioni del giugno 1983, ma entrai alla Camera solo due anni dopo».
Come mai?
«Per i brogli. Ci ritrovammo in quattro in un fazzoletto di 200 voti: io, Giancarlo Abete, Mario D’Urso e Benito Cazora. Entrò Cazora, ma poi ci fu un’inchiesta sulle schede truccate».
Arresti?
«Sì, 27 persone. Molti scrutatori avevano truccato le preferenze».
L’Italia selvaggia di allora.
«Andai da De Mita e gli comunicai che intendevo presentare un ricorso con le prove che avevo. Si scoprì con il riconteggio che ero stata eletta io, con 350 voti di vantaggio. Era il giugno 1985».
Com’era De Mita?
«Ci siamo studiati a lungo. Dialettizzava tutto. Con noi parlamentari donne aveva una certa timidezza».
Cioè?
«Quando entravi nella sua stanza tendeva a non alzare lo sguardo dalla lettura mentre gli parlavi. Un giorno glielo feci notare indispettita. E lui: “Mi concentro meglio se non ti guardo”».
Lo intimidiva?
«Era una sua forma di pudore e di rispetto. Raramente ho visto un uomo più innamorato della moglie di De Mita».
Quanti anni è stata in Parlamento?
«Dieci. Poi ho fatto battaglie per le donne di cui sono fiera. Ora, dopo essere stata nel Parlamento europeo, sono nella direzione Pd».
È vero che venne perseguitata da uno stalker?
«Mi aspettava fuori dal Parlamento, mi seguiva fino a casa. Lo denunciai.
Un povero squilibrato. Anni dopo loincontrai al cinema che staccava i biglietti. Facemmo finta di non conoscerci».
Berlusconi l’ha conosciuto?
«Un grande affabulatore ma un po’ pescecane. M’incrociò in piazza del Gesù: “Quando avrò il mio primo tg la voglio alla conduzione”».
Che idea si è fatta di Giorgia Meloni?
«Ha capacità di leadership indubbie. Ma sull’antifascismo era più audace Fini. E in Europa ha isolato l’Italia».
Cosa pensa di Elly Schlein?
«L’ho avuta come collega a Bruxelles. Intelligente e preparata. Ma veniamo da culture politiche diverse».
Voi cattolici del Pd siete critici.
«Sì, temo una esasperazione della cultura individualistica dei diritti.
Vedo che sta unendo la coalizione, ma non colgo lo stesso sforzo pluralistico nel partito».
Non vede i cattolici?
«C’è un’incapacità nel cogliere i fermenti che si stanno muovendo nel cattolicesimo, rinunciando così a un contributo prezioso».
Senza i cattolici non c’è il Pd?
«Senza non è fedele alle ragioni per cui è nato».
Cosa consiglia a una giovane donna?
«Di avere un progetto di vita che contempli la realizzazione professionale e affettiva, ma anche l’impegno civico».
L’uno non esclude l’altro, no?
«Sì, spesso si dimentica, nello slancio della carriera, che avere dei legami non significa essere meno liberi, anzi. La persona si realizza nella relazione con l’altro».
E lei è contenta del suo privato?
«Sono stato sposata con un diplomatico svizzero, ma molti anni fa è finita. Ho perso un figlio, ed è stato doloroso. Ho un fidanzato. E forse un giorno ci sposeremo. Non è mai troppo tardi».