il Fatto Quotidiano, 28 luglio 2024
Intervista a Paola Comin
Sordi, per lei, era realmente Alberto. Con lui ha viaggiato, sorriso, mediato, anticipato i problemi e agevolato i desideri; per lui ha lavorato dieci anni (“gli ultimi della sua vita”) come ufficio stampa e oggi, Paola Comin, è una delle pochissime con i galloni di chi sa perché ha visto e vissuto, non da spettatrice. “Periodo bellissimo della mia esistenza, anche se, sul piano professionale, non rappresenta la sua fase migliore”.
Perennemente con lui.
Quando Alberto è morto mia figlia aveva 12 anni e alla notizia ha dato la cifra del mio impegno. “Mamma, mi sento in colpa: quando ero piccola lo detestavo, ti portava sempre via”. Eppure in quei dieci anni ha girato appena tre film, e neanche dei capolavori.
L’ultimo è Incontri proibiti con Valeria Marini.
(Ancora sospira al solo pensiero) A lui piaceva, così lo abbiamo portato in giro in mezzo mondo; quando un film è bello più lo vedi e più scopri qualcosa di nuovo; quando è brutto più lo vedi e più ti prende un colpo.
E a lei?
Mi prendeva un colpo; a Buenos Aires mi sono alzata a metà, mentre lui non se ne voleva andare.
Non mollava.
A Bastia, in Corsica, per un Festival, lo invito ancora a smarcarci dalla proiezione. Dopo un paio di ore, alla cena ufficiale, gli arrivano i complimenti dei presenti. Lui mi guarda scocciato: “È l’ultima volta che mi porti via”. Voleva l’abbraccio e l’applauso del pubblico.
Gli ha mai espresso il suo giudizio rispetto al film?
Non si poteva e non era neanche previsto contraddirlo.
Mai.
Si circondava di donne, adorava le sorelle, ma era maschilista.
Reazionario?
Era un uomo di centrodestra, gli piaceva Berlusconi, però ha partecipato alla campagna elettorale prima per Rutelli, poi per Veltroni; (ci pensa) aveva grande stima di Andreotti.
Andreotti è ne Il tassinaro.
Lo chiese prima a Fellini, ma non trovò grande disponibilità: “Federì, fai te stesso in un film?” “Non mi va”. “C’è pure Andreotti”. “Se convinci lui, accetto”. Rispetto ad Alberto, Fellini non conosceva l’umanità, credeva che Andreotti non avrebbe mai detto sì.
E invece…
Comunque Sordi non era un nostalgico del Ventennio, sapeva bene dei disastri di quel periodo, ma erano stati gli anni della sua gioventù.
Politici, colleghi o altri lo tiravano per la “giacchetta”?
Impossibile, era sgamatissimo, sapeva perfettamente come muoversi; (pausa) i dieci anni con lui sono stati bellissimi perché aveva tanto tempo libero, così abbiamo girato il mondo per prendere premi, riconoscimenti o incontri.
Secondo Nino Manfredi Sordi era un fuoriclasse, però studiava poco.
Spesso, nelle interviste, Manfredi ha rimarcato di aver frequentato l’Accademia, Alberto no. E forse con un pizzico di acidità; poi a quattr’occhi l’approccio tra i due era differente.
Quindi?
Una volta eravamo a Ischia e come al solito dopo pranzo Alberto andava a dormire: non era un riposino, ma indossava il pigiama e oscurava tutto; (pausa) quando viaggiavamo nel nord Europa era un problema.
Cosa?
Non hanno le persiane, allora ero costretta a recuperare drappi neri per creare il buio totale.
Insomma, a Ischia.
Mentre lo accompagno in camera, davanti all’ascensore, mi ferma: “Hai sentito che ha detto?” “Chi?” “Nino…” Manfredi aveva dichiarato che da giovane, in collegio, aveva vissuto blande esperienze omosessuali. “Sì, sta lanciando un suo film”. “Ma figurati, Paola…” Per poi aggiungere la sua massima preferita: “A una certa età o pia alla testa o pia alle gambe. Lui cammina”.
È riuscita a restare seria?
(Ride) Questa frase l’ha ripetuta pure ai 25 anni di Canale5.
Con chi?
Ci invitano. Strapagato, ovviamente. Andiamo e troviamo Mike Bongiorno; prima dello show qualcosa tra i due non va. Una volta sul palco Mike chiede ad Alberto: “Ti vedo in forma, cosa fai per stare così?”. “Tu che fai?” “Io scio, faccio sport”. “Io no” “No?” “Che voi Mike, a una certa età o pia alla testa o pia alle gambe”.
Bongiorno felice.
Non era per niente spiritoso.
Torniamo all’ultimo film, la Marini protagonista.
Gli piacevano le donne un po’ ad anfora, le donne stile anni 50 alla Marisa Allasio. E la Marini è così, poi di Valeria ammirava l’ambizione, la grinta; (sorride) Valeria ha solo un grande difetto: fa dei ritardi clamorosi, però non l’ho mai sentita parlare male di nessuno, ed è una qualità rarissima.
Altra leggenda: tirchio.
Non sprecava e se al ristorante pagavano gli altri, era contento. Se toccava a lui, non si tirava indietro.
Quante volte lo ha visto pagare.
Poche. Con la Ferilli, con la Bellucci e poi con la Marini.
Tre donne.
Difficilmente diceva di no a una donna; se poi era pure carina e giovane il no non esisteva; quando organizzavo una conferenza stampa prima piazzavo gli uomini e poi le donne, così manteneva la concentrazione.
Quante richieste strane ha respinto?
Ricordo una telefonata di Paolo Brosio: la mamma partecipava alle Mille Miglia e in una tappa desiderava Sordi accanto a lei; (ancora ride) Alberto spalla della mamma di Brosio.
E poi?
Celentano lo voleva in una trasmissione per parlare di pena di morte; a quel punto mi contatta il produttore, Bibi Ballandi, e mi propone la cosa: “Secondo Adriano, Alberto deve sedersi su una sedia elettrica”. “Bibi, ma cosa dici?” “Sì, lo so; per favore chiama Adriano e risolvimi la questione”.
E lei?
“Ciao Adriano, Alberto ti stima, ma ha 80 anni ed è superstizioso, non gli posso proporre una scena del genere”.
Da qualche anno c’è pure la storia del nipote, Igor Righetti…
(Cambia tono, s’indurisce) Non sopporto questa vicenda; circa tre anni prima della morte di Sordi, Righetti mi chiama per ottenere un consiglio da lui “sa, mi occupo di radio”; (pausa) Alberto aveva un numero di telefono fisso, super pubblico, era in mano a tutti: 06.7000884. E il centralino era in cucina. Da lì smistavano o a me o segnavano la telefonata, perché Alberto non voleva mai che si dicesse di no.
Quindi?
Con Righetti non ci aveva mai voluto parlare per vecchie questioni famigliari “ma che vole questo?”. Fino a quando lo convinco, gli spiego che lavora per una radio, che è giovane. E invece si è inventato cose assurde, autodefinendosi nipote preferito. Eppure Alberto, in tutte le sue biografie, non ha mai parlato di parenti: i suoi unici affetti erano i fratelli e i genitori.
E basta.
Un giorno me lo ha spiegato la sorella: la mamma di Alberto era una maestra elementare e il padre un professore d’orchestra e barelliere del Papa. In teoria, per l’epoca, e parliamo dei primi anni del 900, erano di un ceto sociale buono, eppure non navigavano nell’oro, anzi vivevano a Trastevere, allora quartiere di poveracci. Per questo erano un po’ emarginati dal resto della famiglia, tanto che la sorella era più avvelenata di Alberto.
E…?
Righetti ha letto tutte le interviste e pure male.
Cioè?
Ha dichiarato che Sordi non mangiava pesce per la paura delle spine. È vero della paura, ma lo mangiava eccome; (sorride) amava le triglie, allora le sorelle le compravano, le cucinavano, le aprivano, le spinavano con molta cura, poi le ricomponevano per dargli la sensazione che fossero intatte.
Scindeva mai il personaggio Alberto Sordi da lui?
In quasi tutti i ruoli interpretati c’era un po’ di Alberto: era realmente fifone, aveva paura fisica; (sorride) mi raccontava, spesso, che il padre lo aveva fatto entrare nella banda musicale per salvarlo dalla guerra e ripeteva “noi li accompagnavamo al treno e una volta saliti a bordo, finiva la musica e vedevo i loro sguardi disperati”.
Secondo Voglino l’artista, in generale, non è riconoscente.
Alberto era devoto al pubblico; per il Giubileo del 2000 andiamo a Foligno, in un teatro: la Rai aveva organizzato una serie di spettacoli, tutti presentati dalla Saluzzi, dove ogni volta interveniva un personaggio. Quella sera toccava ad Alberto leggere un passaggio, presenti anche un giovanissimo Roberto Bolle e Julio Iglesias. Siccome lo spettacolo era in seconda serata, prima era programmato il lancio della trasmissine. Per il lancio decidono di occupare il palco reale, chiamano Iglesias e Sordi, salgono, entrano nel palco, con la sala già piena di pubblico. Sordi si affaccia, parte l’applauso dei presenti. A quel punto il regista indica le posizioni. E Sordi: “No, di spalle non mi ci metto”. “Perché?” “Il pubblico mi ha visto e salutato, le spalle non le do”. “È per un minuto”. “Io le spalle al pubblico non le do neanche per un secondo”.
Deciso.
Una sera incontra Maurizio Costanzo a Montecarlo e Maurizio gli racconta la sua idea di programma: “Ho in mente una cosa nuova: un palcoscenico e una serie di artisti, quattro, cinque, otto a sera: organizzo una bella chiacchierata”. E Alberto: “Seduto davanti al pubblico? Per carità”. “Mica si può fare in piedi”. “Non ci si siede davanti al pubblico”. Dopo tanti anni Alberto ancora ci rideva.
Chi riconosceva come artista.
Penso Gigi Proietti, ma alla fine lui era come Il marchese del Grillo e “l’io so’ io…”.
Oltre a Proietti?
Parlava di Mastroianni, della Vitti…
Carlo Verdone?
Gli voleva bene e stimava la forza di non essersi adagiato sui personaggi iniziali, ma non amava la storia del figlio o dell’erede. “Perché in questo campo ognuno ha la sua personalità, il suo estro e fantasia”.
Quando ha detto che fortuna stare accanto ad Alberto Sordi?
Tutti i giorni, dal primo.
Un aspetto che non sopportava?
Mi suscitava un sorriso pure il suo maschilismo.
Così tanto maschilista?
Per lui la massima ambizione e realizzazione per una donna era di curare la casa e la famiglia.
Ettore Scola in un’intervista spiega: “Faccio parte di una generazione dove il lettino dello psicanalista era il barbiere”.
Alberto parlava giusto con qualche amico, tipo Fellini; anche se negli ultimi spiegava il loro allontanamento perché Fellini pensava troppo ai sogni; lui voleva raccontare la realtà.
Altri rapporti?
Franca Ciampi, conosciuta in una cena privata al Quirinale; e pensare che all’inizio, prima di incontrarla, non la sopportava perché era convinto comandasse sul marito. Dopo è nato un affetto e una stima incredibili. All’inaugurazione della nuova ala della stazione Termini ho sentito la signora Ciampi sussurrare ad Alberto: “Non volevo starci, preferivo mandarlo solo. Poi mi hanno detto che ci stavi tu…”.
Per i funerali quante richieste ha smistato?
I collaboratori di Berlusconi mi chiamavano in continuazione per annunciare il suo arrivo. Alla fine non ha trovato il tempo; (cambia tono) ho visto passare tutta l’umanità, tutti lo salutavano disperati, poi una volta usciti si trovavano gli schermi accesi con i suoi pezzi più famosi, e il viso cambiava all’improvviso con un sorriso.
C’è stata una partecipazione incredibile.
(Ride) Lino Banfi arriva in aula Giulio Cesare per omaggiare Alberto. Un fan lo riconosce, lo ferma e inizia a piangere: “Se n’è andato, se n’è andato. Ma che bello Lino, anche tu qui” “Eh, sì”. “Ma stai tranquillo, ci saremo pure per te”.
E Banfi?
Lo ha mandato affanculo.
E lei?
La settimana prima della sua morte, quando sembrava arrivato il momento, avevo gli occhi così pieni di lacrime da sbagliare la strada per la clinica; alla sorella non aveva raccontato la verità, con la stessa sorella che mi chiedeva “Ma si può morire per una bronchite?”. Io non sapevo cosa rispondere, pensavo ai dieci magnifici anni appresso a un uomo magnifico.