il Giornale, 28 luglio 2024
Rimbaud, quella canaglia di un poeta vendeva fucili agli africani
Jules Borelli, esploratore e mercante, conobbe Arthur Rimbaud in Africa, quando aveva smesso di scrivere. Questo periodo nasconde un doppio mistero: perché Rimbaud rinunciò alla letteratura? Cosa fece di preciso in Africa, prima di tornare ormai moribondo in patria? Borelli scrisse un diario che è una fonte importante: viaggiò nel corno d’Africa insieme con l’ex poeta, che vendeva fucili. Il diario, finora inedito in Italia, esce ora per le edizioni Magog con il titolo Scioa. L’Africa di Arthur Rimbaud. Ne presentiamo ampi stralci ai nostri lettori insieme con un frammento della preziosa introduzione.
Ancober. Mercoledì 9 febbraio.
Partenza alle sei, arrivo alle nove. Il signor Rimbaud, mercante francese, giunge con la sua carovana da Tagiura. Strada facendo, i guai non l’hanno risparmiato. Il repertorio è sempre lo stesso: cattiva condotta, cupidigia e tradimento dei propri uomini; seccature e agguati da parte degli Adal; mancanza d’acqua; cammellieri sfruttatori… Il nostro compatriota ha abitato nell’Harar. Conosce l’arabo, parla l’amarico e l’oromo. È infaticabile. La predisposizione per le lingue, una grande forza di volontà e un’incrollabile pazienza ne fanno un viaggiatore perfetto. Brutte notizie dalla costa. Gli issa-somali hanno massacrato Baudet, secondo capo della marina al comando del Pingouin, e otto marinai della flotta. Il governatore di Obock aveva raggiunto Ambado; qui aveva radunato qualche issa sulla spiaggia offrendo loro dei regali. Baudet e gli otto marinai erano scesi a terra, fidandosi dell’accordo appena concluso. Mentre si dirigevano verso l’acqua dolce, sul fondo dell’avvallamento, sono stati attaccati e massacrati a colpi di lance. Cosa è successo? Forse una rissa in seguito a qualche malinteso e, di conseguenza, l’orribile carneficina! Dal Pingouin sono giunti inutilmente dei colpi di cannone. I proiettili hanno colpito i ciottoli e gli issa non si sono più fatti vedere.
Entoto.Sabato 30 aprile
Finalmente da domani sono autorizzato a mettermi in viaggio, senza aspettare niente o nessuno. È mezzanotte mentre scrivo queste righe, spossato dalla fatica. Sono tuttavia determinato a partire, all’alba, con Rimbaud, senza attardarmi a mantenere con difficoltà promesse deludenti o a organizzare un equipaggiamento più consono ai miei progetti.
Paese degli Abiciu. Lunedì 2 maggio 1887
Scrivo dalla mia prima tappa. Sei ore di marcia. Ieri, al momento della partenza, il degiac Waldé-Gabriel mi ha detto: «Andate avanti, vi raggiungerò. Eccovi un bravo kalatier che non vi farà mancare nulla. Domani sera alloggerete su una mia proprietà e avrete provviste in abbondanza». Giunti a questa terra promessa troviamo un guardiano mezzo morto di fame Otteniamo a fatica un po’ d’erba per le mule. Stanotte quattro uomini mi hanno abbandonato. Bell’inizio! Durante il tragitto se n’è andato un altro. Rimbaud prova il mio stesso disappunto. Il mio teodolite è molto ingombrante; volendo evitare intoppi, non lo perdo di vista e, a seconda delle caratteristiche della strada, lo faccio portare da un uomo o da un mulo.
Paese degli Abiciu. Martedì 3 maggio
Sette ore di marcia. Attraversiamo il paese dei galen che confina, a ovest, con quello degli abiciu e, a est, con il Mingiar. I ruscelli sono a secco e il suolo è arido: solo fattoria dall’apparenza misera compare ogni tanto qua e là. La pianura è ondulata. Nella stagione delle piogge i pantani la rendono impraticabile. Ho fatto qualche rilevamento. Quant’è difficile ottenere cibo per gli uomini e per gli animali! Lo choum del posto adduce mille pretesti per non darci nulla. A lunghi intervalli mi portano due o tre pezzi di pane alla volta. L’oromo è proprio un orientale; adduce mille pretesti per ritardare i pagamenti, nella speranza che si verifichi qualche avvenimento in grado di risparmiargli questo dispiacere. Altri due uomini sono fuggiti durante la notte.
Tchinkora. Mercoledì 4 maggio.
Mi sono svegliato di soprassalto. Ho temuto che una iena fosse entrata nella mia tenda, invece era solo un povero cane alla ricerca di acqua con la testa incastrata in una giara dalla quale non riusciva più a liberarsi. Carichiamo le mule prima dell’alba. Stessa strada di ieri per due ore e mezzo. Nessun albero. Una ripida discesa ci conduce a Tchinkora, proprietà personale di Menelik, ben coltivata e disseminata di piccoli alberi. Mezzogiorno. Un’altra discesa attraverso rocce sconnesse. Le mule cadono molto spesso. Entriamo nel Mingiar, paese magnifico, pieno di coltivazioni. È una delle province più ricche dello Scioa. Peccato che l’acqua scarseggi. Lo choum, Ayto-Tchérinet, vuole che passiamo la giornata con lui e noi accettiamo. Ci costringe a ingerire una quantità di tedj tale da causarmi un violento mal di testa. Ci presenta l’ospite presso il quale passeremo la notte al quale rivolge scrupolose raccomandazioni in merito agli approvvigionamenti da fornirci. Un servitore mi sveglia dal primo sonno per avvisarmi che gli uomini che hanno portato le mule ad abbeverarsi si stanno battendo contro gli indigeni. Blocco nell’accampamento i domestici rimasti e poi esco. Cinque contendenti si presentano davanti a me con la testa ammaccata da colpi di bastone. Mi precipito dallo choum; era già stato avvisato. Ci sediamo ai piedi di un albero e si apre il dibattito! Dopo discorsi interminabili giungiamo alla conclusione che la rissa è scoppiata nel momento in cui una mula è caduta nell’acqua e gli indigeni hanno attaccato per primi. Lo choum mi consegna per primi due aggressori, saldamente legati, e poi un terzo. Reclamo un risarcimento; verrà presa una decisione in merito.
Arro. Sabato 21 maggio.
Ci mettiamo in cammino di buonora. Rimbaud mi ha preceduto, vuole arrivare stasera. Due ore di viaggio ci conducono ai margini delle foreste oborrah e metta, sulle rive dello Yabatta, il più piccolo dei tre laghi in prossimità di Harar. A ovest il paesaggio è sgradevole e la terra è priva di alberi. Yabatta è il nome di una tribù e significa «bastardo», il che è indice della stima di cui gode presso le popolazioni circostanti. Vaste coltivazioni di durra. I rilievi non hanno più forti pendenze e la vegetazione arborea si fa più rara. A cinque ore di marcia dal lago, stabilisco l’accampamento in un luogo detto Arro (lago). Intravedo i monti Coundoudou e Gara-Moulata, le cime più alte della regione.
Harar. Domenica 22 maggio.
Pioggia torrenziale ieri sera. Alcuni uomini, entrati in una capanna per accendere un fuoco, respingevano gli altri che tentavano di rifugiarvisi. Ho detto loro di aprire. Uno degli insubordinati ha inveito contro di me davanti agli altri in maniera estremamente volgare: se avessi tollerato un simile insulto avrei rischiato di perdere ogni autorità. L’ho colpito con il bastone. Si è avventato su una sciabola e si è lanciato contro di me. Ho avuto solo il tempo di colpirlo al braccio per disarmarlo. Il bastone si è rotto e ho dovuto lottare corpo a corpo con questo forsennato per sconfiggerlo. Dopo quattro ore di strada intravediamo Harar. La città è situata in una depressione montuosa, bagnata da piccoli ruscelli affluenti dell’Herrer. D’aspetto pittoresco, è costruita su un’altura. I rilievi che la circondano hanno degli spiccati contrasti di luce che creano un effetto sbalorditivo; la città spicca come un cumulo rossastro sulla loro massa scura; il colore di creta e i tre minareti di un bianco crudo risaltano in maniera originale sull’insieme del paesaggio. Harar è circondata da mura, accostate alle quali, su una superficie uniforme, sono state costruite le case. Solo tre o quattro sono a due piani. Fuori dalla cinta non si trova nessuna abitazione. Arriviamo alla Porta del Turco così chiamata perché qui, Rauf Pacha, primo governatore dell’Harar dopo la conquista egiziana, faceva impiccare i basci-buzuk colpevoli di qualche malefatta. Avvisiamo il governatore e attendiamo. Vengono a prenderci e andiamo da lui, che occupa il selamlik e l’harem costruiti per Nady Pacha. La sistemazione sarebbe decente se non fosse che, dopo l’occupazione, non è stata sottoposta a nessun genere di manutenzione. Makonnen mi accoglie bene e mi assegna un alloggio; mi congeda solo dopo avermi chiesto tutte le notizie su Entoto, sul re e sugli choum suoi amici.
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