Corriere della Sera, 28 luglio 2024
Il grande romanzo popolare ora è in tv
L’ultima puntata di Temptation Island è stata un evento televisivo, perché ha totalizzato un’audience degna delle grandi cerimonie mediatiche. E, come in altri casi di grande successo, ha portato alla deprogrammazione delle reti concorrenti. Come si spiega un successo così clamoroso in un contesto in cui altri reality mostrano stanchezza? Come tutti i reality Temptation Island parte da una motivazione psicologica.
Da tempo il privato ha avuto la meglio sul politico, così come l’infotaiment ha avuto la meglio sull’informazione. Viviamo in un’epoca particolarmente drammatica, sempre sul filo del rasoio di una guerra che potrebbe materializzarsi qui ed ora, dopo i fronti ucraino e palestinese. Ma, nonostante questo, o forse proprio per sfuggire ai fantasmi della guerra e alla distopia di un presente che vede sempre più poveri ed ammalati, il pubblico ha sete di «privato» in tutte le sue espressioni. Sui social tengono banco le grandi separazioni matrimoniali dei vip. Nel contempo c’è un processo di immedesimazione per cui queste storie diventano modelli per le nostre relazioni personali. Se una volta il senso della vita si identificava col successo sul lavoro e con il raggiungimento del benessere economico, oggi il senso della vita sembra sempre più identificarsi con la conquista dell’autostima. Un reality come Temptation ha lo scopo finale di conferire ai partecipanti la consapevolezza del loro valore, non come cittadini, imprenditori, artisti di successo, ma come esseri umani degni di amore. Ricordo uno slogan pubblicitario che si rivolgeva ai consumatori con la formula «Tu vali». Analogamente i reality si pongono oggi come cartina di tornasole per rivelare il «valore» presente in ciascuno di noi.
Ma perché nell’universo dei reality Temptation gode di un successo plebiscitario? Possiamo fare un confronto con due forme collaudate di reality. Da un lato abbiamo l’occhio del Grande Fratello, la telecamera fissa che registra in modo passivo l’interazione tra personaggi diversi, rinchiusi in uno spazio limitato. Dall’altro abbiamo invece il reality in cui i protagonisti si fanno parte attiva per costruire lo spettacolo. Mi riferisco a C’é posta per te, in cui la storia dei partecipanti precede l’incontro cruciale in televisione. L’apertura o meno della busta scrive la conclusione della storia. In Temptation ritroviamo entrambi questi prototipi fusi tra loro. Abbiamo le riprese della vita dei partecipanti ed abbiamo i falò che scandiscono i momenti delle scelte fondamentali. Ma c’è qualcosa in più che ne decreta il successo: la dimensione narrativa costruita secondo gli schemi classici della letteratura popolare. Il bisogno di narrativa popolare fa da sempre parte delle aspirazioni del pubblico. Nell’800 avevamo il feuilletton. Nel 900 i romanzi rosa di Liala, ma anche il fotoromanzo. È un filone che non si è mai ininterrotto, costellato da successi come Tre metri sopra il cielo di Moccia. E che oggi decreta il successo di serie come Mare fuori.
Ma nell’epoca della Total Tv il pubblico vuole consumare storie non più letterarie, ma tratte della vita reale, vera o presunta. Come può un reality diventare un vero e proprio intreccio? Oramai per designare un racconto costruito sulla base di uno schema narrativo si usa la definizione, «Il viaggio dell’eroe». Nel viaggio dell’eroe il protagonista affronta innumerevoli prove di forza e di coraggio per rivelare quelle potenzialità che erano nascoste nella sua stessa natura. Un contadino può diventare un re, perché era già re in potenza. In Temptation i protagonisti affrontano la sofferenza per conquistare l’autostima finale. È un viaggio nei sentimenti, anziché nella vita reale, su cui abbiamo sempre meno influenza. E nel programma il conduttore parla proprio di viaggio nei sentimenti. Una coppia dalle idee confuse affronterà una serie di prove sentimentali. Come i santi che volevano provare la propria fede, sarà sottoposta ad una serie di tentazioni per dimostrare la solidità del rapporto. Il premio finale è costituito dal conseguimento di una duplice consapevolezza: sulla coppia e sulla propria identità. Ma dato che spesso la coppia si scioglie, è sulla propria identità che verte il reality. Alla fine tutti affermano il loro valore anche se in realtà la loro identità si rivela una scatola vuota, l’ennesima traduzione dello slogan pubblicitario’Tu vali’. Quello che interessa qui non è tanto questo esercizio di autostima stereotipata che sembra coinvolgere protagonisti e pubblico, ma la struttura portante del reality che, a differenza di tutti gli altri, è in grado di costruire storie. La macchina narrativa funziona per una serie di motivi. Temptation è costruita sul montaggio e ciò conferisce ritmo e significato alla storia. I tempi morti sono tagliati via e siamo in grado di percepire un senso nello sviluppo degli eventi. Ogni tentazione è una rottura dell’equilibrio che fa sì che le prove emotive si susseguano, così come le prove dell’eroe nel suo viaggio. Infine i single, i tentatori, non sono solo tali, ma svolgono una funzione psicologica fondamentale per portare i concorrenti a quell’autocoscienza che rappresenta il senso e la conclusione della storia. Sembrano emotivamente coinvolti solo sino ad un certo punto e si fermano prima di prevaricare le decisioni degli ospiti. Svolgono una specie di azione maieutica per fare emergere il nucleo autentico della psicologia dei protagonisti con cui interagiscono. Ma, soprattutto, risulta centrale la figura del conduttore/narratore che funziona sia da voce narrante fuori campo, sia da dispositivo per riportare costantemente i protagonisti a non distrarsi, ma a cimentarsi invece con l’evoluzione della storia. Il risultato finale evidentemente funziona ed è in grado di coinvolgere il pubblico con una miscela psicologico– narrativa. —