Corriere della Sera, 28 luglio 2024
Intervista a Eleonora Giorgi
Eleonora Giorgi, com’erano le sue nonne?
«Sono state l’architrave della mia infanzia. Avevo genitori giovanissimi, che a modo loro hanno anticipato qualsiasi cosa, ma totalmente inadatti al ruolo: negli anni ‘70 io e mio fratello eravamo gli unici del quartiere figli di separati. Nonna Katò e nonna Nancy sono state il fondamento dei miei primi dieci anni di vita, hanno forgiato la mia cultura ed educazione».
Un ricordo di nonna Katò?
«Ungherese, divorziò dal marito dopo la nascita di mia madre perché si era innamorata di un generale italiano con gli occhi azzurri. Appassionata di arte, mi pagava le lezioni di piano e di balletto, faceva in modo che andassi a scuola in ordine con il fiocco gonfio e i calzini al ginocchio. Al contrario di mia madre, che non ho mai perdonato per questo, sapeva amare attraverso i gesti».
E nonna Nancy?
«Mezzo scozzese e mezzo inglese, aveva preso la patente a Londra: c’è una sua foto dopo la liberazione di Roma alla guida di una jeep americana sull’Appia Antica. A 65 anni ha smesso di montare a cavallo. Quando andavo a dormire da lei la guardavo leggere libri fino a mezzanotte».
Due donne del futuro.
«Emancipate, sì, ma comunque di un altro secolo. Il loro modello era meritocratico, ogni premio doveva essere il risultato di un compito svolto, i nostri diritti passavano attraverso i doveri».
Oggi si celebra la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani. Lei che nonna è con Gabriele, che ha due anni e cinque mesi?
«Quando ho saputo che Paolo (nato nel 1991 dal matrimonio con Massimo Ciavarro, ndr) e la sua compagna Clizia aspettavano un figlio, si è fatta sentire subito la mia radice austroungarica. Ho pensato che avrei voluto essere una nonna ponte con quel passato che abbiamo buttato via con l’acqua sporca e il bambino dentro. Mi immaginavo di guidarlo in un’infanzia con meno oggetti».
E invece?
«Ora prima di andarlo a trovare mi fermo dai fratelli cinesi e prendo una busta con dentro le macchinine o qualche altro gioco. Appena lo vedo, mi butto per terra per giocare con lui. Mi somiglia fisicamente, ma anche nell’indole: è incredibilmente attento, prima di usare le cose vuole capire il meccanismo».
Quanto ha inciso il tumore, un adenocarcinoma al pancreas, nel vostro rapporto?
«Mi ha fatto molto pensare ai cicli della vita. Il tumore è arrivato il giorno dei miei 70 anni, che poi erano 50 di carriera. Se avessi avuto trent’anni mi sarei disperata. Invece tutto sommato sono una vecchia che ha avuto una vita piena di avventure: posso permettermi di andarmene, anche se mi spezza il cuore».
Quale pensiero l’angoscia di più?
«Quello di chi resta. Mi devasta sapere che soffriranno».
I medici cosa dicono?
«Ho chiesto di non avere nessuna pietà e mi hanno risposto che non hanno la sfera di cristallo: potrei vivere sei mesi dopo l’operazione o magari cinque anni o addirittura di più. L’intervento che ho fatto alla fine di marzo è andato bene, anche se il cancro non è sconfitto. Però era nella coda del pancreas, fosse stato alla testa sarebbe stato più grave, perché avrebbe intaccato organi come i reni e il fegato. Sto continuando a fare la chemioterapia e a fine agosto farò la visita di controllo. Un passo alla volta. Tanto abbiamo tutti una data di scadenza».
Cos’ha in programma in queste settimane?
Gabriele, due anni
Mi somiglia fisicamente, ma anche nell’indole: è incredibilmente attento, prima di usare le cose vuole capire il meccanismo
«Domani (oggi, ndr) andrò nella casetta che ho preso in affitto al Terminillo con mio nipote Gianluca, il figlio di mio fratello, un nerd con il quale ci intendiamo alla perfezione: lui sta chiuso nella sua stanza con sei computer e io sto per conto mio. È diventato il mio badante».
Gabriele quando lo rivede?
«Ad agosto Gianluca mi porterà in Sicilia per cinque giorni: andremo in aereo, sulla sedia a rotelle. Con Gabriele abbiamo già in programma di predisporre tutto per un campeggio nel giardino dei nonni, a Porto Empedocle. Faremo per gioco quello che mi sarebbe piaciuto fare con lui se fossi stata bene: mi porterà i legnetti, i sassi, cose così. Vorrei lasciargli ricordi di un tempo bello speso insieme».
Deve stare attenta ad abbracciarlo?
«Devo stare attenta a qualsiasi cosa. Ciò che più mi manca è di non poterlo prendere in braccio, ma ho una cicatrice sulla pancia e un dispositivo nel braccio. Questa lontananza fisica mi fa soffrire. L’ho sempre cullato con le canzoni di Ornella Vanoni per farlo addormentare, è lui a chiedermi Senza fine».
I suoi figli Andrea e Paolo le hanno fatto un regalo decidendo di sposarsi adesso, a due mesi uno dall’altro.
«Sono grata al mio primogenito (figlio di Angelo Rizzoli, ndr) e al fratello per avermi dato la possibilità di vederli e stare con loro ogni giorno. La malattia li ha messi di fronte a una nuova consapevolezza. Andrea si è sposato il 2 maggio e ha fatto una cosa semplice, avevo le cicatrici fresche. Paolo e Clizia il 12 luglio. Per entrambi c’è stato quasi un passaggio di testimone tra me e le mogli. Purtroppo nell’ultimo matrimonio ho dovuto usare un cappello, perché due giorni prima pettinandomi mi sono trovata le ciocche tra le mani».
Ora usa la parrucca?
«No. Ne ho provate alcune, ma mi pareva di avere una pelliccia in testa. Però ci sono dei cappellini graziosi».
La malattia
L’ho scoperta il giorno dei miei 70 anni. Se ne avessi avuti 30 mi sarei disperata. Ma tutto sommato ho avuto una vita piena di avventure
Con la morte finisce tutto?
«Lo scoprirò viaggiando. Ho sempre sentito una voce dentro di me, da quando avevo tre anni, il che mi fa credere in una dimensione spirituale».
Chi vorrebbe trovare ad accoglierla, nell’Aldilà?
«Nonna Katò per prima. Poi Alessandro Momo, il mio fidanzato morto di incidente in moto. Angelo, il papà di mio figlio, e Oriana Fallaci. È stato fantastico che una donna così difficile abbia scavallato i pregiudizi nei miei confronti: ci siamo divertite insieme».