Corriere della Sera, 28 luglio 2024
Intervista a mister kwong
Mister Kwong era entrato in città con tre squilli di tromba: acquisizione di Palazzo Donà, acquisizione di Palazzo Papadopoli e il grande progetto sull’area selvaggia dei Pili fra terra e laguna di proprietà del sindaco Luigi Brugnaro. Solo la terza operazione, quella che avrebbe fatto dei Pili un’area edificata alle porte di Venezia, non è andata a segno. Ma per il magnate di Singapore Ching Chiat Kwong, che Forbes colloca fra gli uomini d’affari più influenti d’Oriente, si poteva comunque parlare di successo. E, vista l’accoglienza dalle parti del Comune, mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi un giorno indagato per corruzione. Fondatore di un impero immobiliare di dimensioni mondiali che fattura oltre mezzo miliardo di dollari l’anno, Kwong ha deciso di uscire allo scoperto e dire la sua su questa storia di tangenti che lo tocca da vicino e sta terremotando Venezia. Il tycoon asiatico parla dal suo quartier generale di Singapore.
Mister Kwong, cosa pensa dell’indagine della Procura di Venezia?
«Sono attonito. Non ho mai commesso nulla di illegale nella mia vita».
L’accusa più grave è di aver tentato di corrompere il sindaco Brugnaro nell’operazione dei Pili: prima 85 e poi 150 milioni offerti per l’acquisizione dell’area in cambio della promessa di far approvare dal Comune il progetto edilizio che avrebbe presentato una sua società e del raddoppio dell’edificabilità. Come si difende?
«Io non ho mai tentato di corrompere nessuno. Sono una persona rispettata a livello internazionale e sull’onestà ho costruito il mio successo. Mi fu proposto di incontrare il sindaco perché vi erano delle possibilità di investimento a Venezia. Tra quelle che mi vennero presentate, la più interessante era quella alle porte della città perché molto simile all’operazione Royal Wharf che avevo in corso a Londra. Avevo provato a comprendere se vi fossero le condizioni per una joint venture».
Perché non se ne fece nulla?
«I potenziali costi e ricavi che venivano via via ipotizzati in quel periodo (era il 2017, ndr) non hanno superato la fase preliminare, tanto che non è mai stata avviata una vera e propria trattativa con la proprietà, né è stato dato un incarico progettuale: semplicemente l’operazione non era compatibile con il nostro modello di business e nessuno era in grado di stimare l’impatto delle bonifiche dei terreni sui costi e sui progetti».
La Procura contesta anche una tangente all’assessore Boraso per ribassare il prezzo di palazzo Papadopoli.
«Non so chi sia l’assessore Boraso, non l’ho mai incontrato né mai ne avevo sentito parlare. Certamente non ho pagato o dato istruzioni di pagare questo signore. Guardi, in tutto il mondo il prezzo di un bene immobile lo fa il mercato. Palazzo Papadopoli era stato precedentemente messo in vendita dal Comune di Venezia a 14 milioni e nessuno aveva partecipato all’asta. Io ho presentato un’offerta per farne partire una nuova: se fosse stato davvero un affare ci sarebbero stati molti partecipanti, invece nessun investitore ha ritenuto conveniente fare un’offerta. Altro che sconto!».
Il grande accusatore è Claudio Vanin, un imprenditore che collaborava con il suo gruppo e dirige una società di progettazione di grandi impianti. È considerato attendibile dai magistrati. Perché avrebbe raccontato il falso?
«Non riesco a comprendere come si possa dare credito a Vanin, nonostante vi siano sentenze che smentiscono quanto afferma. Era molto interessato all’investimento dei Pili perché pensava di entrare nella joint venture con la sua società. A un certo punto ha iniziato ad agire di propria iniziativa cercando di convincermi a trattare con il sindaco. Abbiamo interrotto ogni rapporto con lui nell’estate del 2018 dopo aver scoperto che la sua società aveva inviato degli stati di avanzamento di lavori che stava svolgendo in Toscana e a Venezia nei quali erano state contraffatte le firme dei direttori per ottenere indebiti pagamenti. Da quel momento la sua società ha avviato una serie di cause civili contro di noi, perdendole tutte. Poi Vanin ha iniziato a chiedermi di essere pagato minacciando di screditare il mio nome: a quel punto ho dovuto denunciarlo. Non ho più saputo nulla di quella denuncia, depositata più di un anno fa».
Il sindaco le avrebbe fatto comprare i due palazzi come biglietto da visita per la cittadinanza, il tutto propedeutico all’operazione più importante dei Pili. Cosa ne pensa?
«Sciocchezze: ho acquistato i due palazzi con miei fondi personali, perché avevano delle potenzialità e perché erano nella città storica. L’operazione dei Pili, se mai ve ne fossero state le condizioni, sarebbe stata partecipata dalla Oxley Holdings Limited: per un investimento di tale dimensione non servono biglietti da visita alla cittadinanza, servono volontà, idee e capitali».
Che idea si è fatto del sindaco Brugnaro?
«L’impressione che ho avuto è quella di un sindaco che cercava di attrarre capitali e idee per la propria città. Mi aveva proposto anche altre opportunità di investimento ma erano meno interessanti per il mio gruppo rispetto ai Pili. Non ci vedo nulla di strano: altri sindaci di metropoli europee hanno organizzato dei road show in Asia per proporre investimenti nelle loro città».
Palazzo Papadopoli
Ho comprato un immobile che nessuno voleva. Nessuno sconto
e nessuna tangente
Non era preoccupato del conflitto di interesse di un sindaco che è anche proprietario dei terreni da acquisire?
«Siamo quotati alla Borsa di Singapore e osserviamo rigorose regole di comportamento nelle nostre operazioni: se mai fossero iniziate delle reali trattative, avremmo preteso una regolazione trasparente del conflitto».
Quante volte vi siete incontrati?
«Un paio di volte, una negli uffici del Comune».
Le aveva chiesto un anticipo di 10 milioni a fondo perduto come garanzia dell’operazione. Corretto?
«Questo lo dice Vanin».
I costi della bonifica non erano emersi subito. Non si è sentito ingannato?
«La trattativa si è fermata prima».
Con lei in questa indagine è coinvolto anche Luis Lotti, il suo manager per l’Italia. Secondo Vanin la colpa sarebbe soprattutto sua. Dice che faceva cose che non gli piacevano…
«Conosco Luis da più di dieci anni. Rappresenta i miei interessi e mi fido di lui. Il suo aiuto è molto apprezzato perché agisce con onestà e sincerità».
Cosa sognava di fare a Venezia?
«Venezia per il mondo asiatico ha un fascino unico. In questi ultimi anni la Oxley ha realizzato un’importante operazione di sviluppo a Londra, città simbolo della finanza. Speravo che si potesse fare altrettanto anche a Venezia e in Toscana, che nel mondo rappresentano l’arte, la bellezza e la cultura».
Come vede l’Italia dopo questa bufera?
«L’Italia è fra i primi Paesi al mondo anche per storia e design. Ritengo che sia un buon Paese su cui investire, con il giusto timing e alle giuste condizioni. Non sono pentito di averci creduto, se non per il fatto di essere rimasto da solo ora a difendermi. Continuo a chiedere aggiornamenti ai miei avvocati in città (Guido Simonetti e Simone Zancani, ndr): non vedo l’ora di iniziare a contrattaccare».
Conflitto d’interessi
Se l’operazione fosse partita avrei preteso
dal sindaco trasparenza,
non investo più a Venezia
Investirà ancora su Venezia?
«No, al momento».