Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  luglio 28 Domenica calendario

Gli affari Libia-Italia invio record di petrolio e ripresa dei contratti

MILANO – Nel 2010, la storia finanziaria dell’estate fu l’ingresso in Unicredit della Libyan Investment Authority, che affiancò la Banca centrale di Tripoli rendendo i libici i primi azionisti della banca italiana. Si scatenò un putiferio, anche politico, che contribuì all’uscita dell’allora amministratore delegato, Alessandro Profumo. A distanza di 14 anni, che hanno segnato la fine del regime di Gheddafi con la sua morte nel 2011, la Libia è divisa tra il governo di unità nazionale del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah e il regime del generale Khalifa Haftar.
Una situazione che, malgrado la complessità, sta consentendo al Paese di riprendersi un po’ del suo spazio nei rapporti economici con l’Italia. Lo dimostrano i numeri del secondo trimestre del 2024 appena diffusi da Eni, presente a Tripoli dal 1959: la produzione di idrocarburi del gruppo è cresciuta del 6% annuo, grazie anche al maggiore contributo dalla Libia in termini sia di gas sia di petrolio. Già nel Fact Book 2023,la società guidata da Claudio Descalzi spiegava che l’anno scorso, in Libia, «la situazione di maggiore stabilità interna ha consentito il regolare svolgimento delle attività estrattive, nonché l’avvio di discussioni con la compagnia di Stato National Oil Corporation per possibili futuri sviluppi di riserve gas nel Paese». Al contrario, nella semestrale del 2022, Eni informava che, dopo la rivoluzione armata del 2011, «la situazione, sfociata in più riprese in scontri armati e tensioni tra le due fazioni che si contendono la guida del Paese, aveva compromesso in diverse circostanze la regolarità e la sicurezza delle operazioni Eni».
Insomma, qualche segnale di stabilizzazione, almeno dal mondo degli affari, arriva. Lo testimoniano anche i numeri dell’Unem, l’associazione dei raffinatori e distributori di prodotti petroliferi italiani: nel primo trimestre di quest’anno, la Libia, dopo dieci anni, è tornata a essere la principale fornitrice di greggio dell’Italia. Su circa 14,5 milioni di tonnellate importate dal nostro Paese, 3,1 milioni sono arrivate dal Paese nordafricano. Ad aprile la tendenza è stata confermata: la Libia ci ha inviato poco più di 1 milione di tonnellate di greggio su 4,9 milioni, davanti ad Azerbaigian e Kazakistan.
Il risveglio degli affari non riguarda solo gli idrocarburi. A fine aprile, il produttore di macchinari per la siderurgia, Danieli, ha annunciato un’intesa con Lybian Iron and Steel Company per la costruzione di un impianto di riduzione diretta del ferro in Libia, destinato a fornire sia il mercato domestico sia quello italiano. Il 18 luglio, invece, Saipem si è aggiudicata un contratto per la sorveglianza e i servizi di intervento sottomarino del gasdotto GreenStream presso i terminali di Mellitah, in Libia, e Gela, in Sicilia. L’accordo risponde alla necessità, più urgente dopo la guerra della Russia in Ucraina, di aumentare la sicurezza delle infrastrutture. Il 17 luglio (ma le due cose sono slegate), la premier Giorgia Meloni, intervenendo alTrans-mediterranean migration forumdi Tripoli, ha dichiarato: «La Libia è una delle nostre priorità. Abbiamo lavorato insieme sull’energia, stiamo lavorando insieme sulle infrastrutture e su diversi temi molto, molto strategici per entrambi». Da qui l’annuncio da parte di Meloni di «un business forum nei prossimi mesi, che metterà insieme le nostre migliori aziende».