la Repubblica, 27 luglio 2024
Intervista a Caterina Caselli
SALISBURGO – Caterina Caselli ha mantenuto la parola. A inizio anno aveva dichiarato: andrò al festival di Salisburgo, anziché a Sanremo.
Ed eccola infatti al suo battesimo nella città di Mozart, per la rassegna di musica classica più rinomata al mondo. Per giunta ad ascoltare pagine d’avanguardia del secondo dopoguerra: Il canto sospeso di Luigi Nono eIl prigioniero di Luigi Dallapiccola.
Ma come mai lei, icona della musica leggera italiana da cantante, da talent scout, da produttrice, ha scelto proprio questo concerto? Perché Dallapiccola è uno dei tanti compositori del Novecento e del presente che appartiene alla sua scuderia, ossia alla Sugar Music, che è anche casa discografica dei Negramaro, Madame, Sangiovanni, Raphael Gualazzi. Un ramo dell’azienda sono le edizioni di musica contemporanea: la storica Suvini Zerboni, oggi rinominata SZ Sugar. Intitolazione nuova che però annovera autori cruciali nella storia della musica colta nell’ultimo secolo, come Goffredo Petrassi, Bruno Maderna, Franco Donatoni. E l’istriano-fiorentino Dallapiccola, appunto, di cui l’anno prossimo ricorre il mezzo secolo dalla morte. Oggi, grazie alla curiosità indomita di Caselli, del figlio Filippo Sugar, ad dell’impresa di famiglia, e alla neodirettrice editoriale Anna Leonardi, la SZ Sugar è in turbinosa espansione creativa (con podcast divulgativi sulla nuova musica, collaborazioni con Miart di Milano e Biennale di Venezia per progetti di interazione con le arti visive) oltre che in piena campagna acquisti. I più recenti sono i trentenni Alessandro Baldessari, compositore elettronico di cui anche Riccardo Muti ha diretto un pezzo e Stefano Pilia, che è pure chitarrista degli Afterhours. «Così ci stiamo proiettando nel futuro, cercando l’eccellenza e l’imprevedibilità con atteggiamento umile, curioso e coraggioso. Del resto il nostro mestiere consiste nel creare valore attraverso il talento», spiega Caselli, euforica dopo i quasi dieci minuti di applausi e standing ovation dei 1400 ascoltatori (tra cui Enrico Letta) che hanno salutato la lucida, acuminata lettura delPrigioniero data da Maxime Pascal sul podio dell’Orchestra sinfonica della Radio di Vienna.
Signora Caselli, roba tosta Nono e Dallapiccola per una neofita.
«Non neofita assoluta, poiché frequento la Scala. Ma questa di Salisburgo è altra musica. Appaga quella parte di me che cerca di continuo lo stupore. La complessità mi affascina. Ho ascoltato stupefatta le dissonanze, la vocalità sospesa dei cori, quella astrale dei solisti e le storie drammatiche dei condannati a morte della Resistenza che permeano ilCanto sospeso,un’opera attuale visto che il tema della guerra e della resistenza ci sfiora da vicino con l’Ucraina e Gaza».
Perché preferire Salisburgo a Sanremo?
«Non è una provocazione. In realtà a Sanremo non vado da qualche anno. E a Salisburgo ho sempre desiderato venire. Qui era di casa mio suocero Ladislao Sugar, che produceva musica leggera ma era anche l’anima della Suvini Zerboni.
E diceva: non si vive di solo pop».
Lei ha messo in pratica questa massima?
«Direi di sì. Dopo il matrimonio, quando ho smesso di cantare, volevo cercarmi un ruolo in azienda, allora contava cinquecento dipendenti. Non facile ritagliarmi uno spazio, poiché certidirigenti mi vedevano come la “signora Sugar”, una che per quel lavoro non aveva altra virtù che il nome che adesso portava. Perciò mi sono impegnata a creare un’etichetta mia che percorresse vie inesplorate in Italia. Musica popolare, però di ricerca. Mi accaparrai gli Area. Con Mauro Pagani anticipammo la “world music”. Feci conoscere un cantautore straordinario come Pierangelo Bertoli, che in tv nessuno voleva perché, dicevano, un disabile mette tristezza alla gente. L’Ascolto, era il nomedell’etichetta, si disinteressava all’esito commerciale (anche se Bertoli fece bene al fatturato), puntando l’attenzione su ogni musica esistente, senza pregiudizi».
Lei ha contribuito a portare Paolo Conte in concerto alla Scala.
«Sì, l’anno scorso, ma erano vent’anni che ci pensavo. Mi ha dato una mano l’assessore comunale alla Cultura Tommaso Sacchi. D’altronde Conte è nel cuore della Sugar Music. Lo strappai alla Rca dopo un lungocorteggiamento. Già grandissimo, il grande pubblico però non lo conosceva, anche perché non voleva andare in tv. Quindi misi su una campagna promozionale di una settimana con Mauro Coruzzi (che poi sarebbe diventato celebre come Platinette), coinvolgendo una marea di artisti che parlassero di lui, da Celentano a Bertè».
Con qualche compositore della Suvini Zerboni ha avuto rapporti diretti?
«Con parecchi, tipo Alessandro Solbiati e Ivan Fedele. Sebbene sia estranea al loro mondo musicale, tuttavia mi intriga».
Anche Morricone è nel vostro catalogo.
«È stato un grande amico. Sua moglie continuo a sentirla quasi tutti i giorni».
Vero che l’avete messo in contatto voi con Quentin Tarantino?
«Un giorno vado da lui con Elisa per chiedere di scriverle una canzone.
Accetta, ma pretende che gli si annoti su pentagramma il suono più acuto e quello più grave che lei poteva cantare. La canzone èAncora qui.A Tarantino, che va pazzo per Morricone, la facciamo arrivare in audiocassetta, perché non ascolta cd. Se ne innamora così tanto da inserirla nel film Django unchained citandola nei titoli di testa a caratteri cubitali».
Dei suoi giovani compositori d’avanguardia, su quali scommetterebbe?
«Su coloro che hanno già una carriera internazionale come Federico Gardella e Aureliano Cattaneo, autore di un Concerto violinopresto alla Scala. E poi su chi fa elettronica, un settore per il cui sviluppo intendo impegnarmi in prima persona, anche mettendolo in relazione con mondi diversi, come la videoarte e, perché no, con i miei artisti pop».