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 2024  luglio 27 Sabato calendario

El Chapo, Azul, El Mayo la saga del Cartello più famoso del Messico


Alla fine, è caduto anche lui, il Capo. L’unico tra i fondatori del Cartello di Sinaloa ancora vivo e a piede libero. Da mezzo secolo, un record che alimenta la sua leggenda piena di misteri. L’ultimo dei quali è legato al suo arresto: la giustizia americana e la Dea esaltano il lavoro investigativo degli ultimi sei mesi, negano che si sia consegnato o abbia trattato la resa. Ma restano i dubbi. Perché Ismael El Mayo Zambada, 76 anni, forse il più potente e noto narcotrafficante del Messico, abile mediatore nelle dispute tra Cartelli, sfuggito sempre alla giustizia americana, è caduto di colpo in una trappola banale e prevedibile?
Molti pensano a un accordo, altri suggeriscono un tradimento. Fa riflettere la notizia che solo due giorni prima dell’arresto del Mayo, uno dei quattro figli del Chapo Guzmán, Ovidio detto El Ratón, preso in Messico e estradato negli Usa il 15 settembre del 2023, ha lasciato il carcere del Metropolitan Correctional Center di Chicago dove era rinchiuso. Era accusato di 12 capi di imputazione, e considerato, assieme al fratello Joaquín (anche lui catturato giovedì), il vero erede dell’impero lasciato dal padre. Eppure, è tornato libero. E appare bizzarro che El Mayo, da tempo in lotta con i quattro chapitos, i figli del Chapo, accetti di farsi un giro a El Paso con uno di loro.
La storia di Ismael Mayo Zambada nasce a Culiacán, la cittadina tra le montagne che dominano lo stato povero e contadino di Sinaloa. Giovanissimo, si era messo in affari con Joaquín Guzmán, l’ex umile mezzadro che i narcos chiamavano El Chapo, il piccoletto: uno furbo, coraggioso e che aveva delle ambizioni. Mentre raccoglieva le foglie di marijuana nei campi dei suoi padroni, Zambada osservava e imparava. Un giorno, pensava, sarò uno di loro.
Insieme decidono il grande salto. Basta con l’erba, aigringos piace la polvere. «Amano ficcarsela su per il naso», commentavano tra grasse risate per qualcosa che non si spiegavano. Loro stavano lontano da quella roba. La vendevano, non la usavano. Alla coppia si unisce Juan José Esparragoza, Azul, un ex poliziotto che già da tempo aveva scoperto la richiesta massiccia di cocaina negli Usa. Mayo ci metteva una certa saggezza e il fastidio per la violenza gratuita, il Chapo l’ambizione, Azul i contatti con i colombiani. Tuttavia, alla base di questo sodalizio c’era anche una rivalsa sociale.
Il Sinaloa è uno Stato senza sbocchi verso la frontiera Usa. Per anni il Cartello ha dovuto sottostare alle condizioni di quelli di Guadalajara e di Tijuana: una tassa di passaggio che si è trasformata in un’umiliazione. Per il Chapo questo ricatto diventò un’ossessione. Ma aveva già in mente il suo piano. Lo metterà a frutto poco alla volta, con la forza delle armi, sbaragliando gli avversari. Sulla scena appaiono Amado Carrillo, Ramón Arellano, Miguel Ángel Félix Gallardo, Rafael Caro Quintero, Héctor El Güero Palma. Anche questi, nomi leggendari. Insieme saranno invincibili. La guerra fa male agli affari, commentava El Chapo nelle riunioni. Alla fine, quello sconosciuto ragazzino al servizio dei potenti ha sbaragliato gli altri, si è preso tutta la torta ed è diventato il re mondiale della cocaina. Ma è stato sopraffatto dalla sua stessa ambizione: arrestato e condannato. Mentre Azul era già morto in uno dei tanti scontri con los Zetas e quelli del Golfo.
Senza più il socio di maggioranza, il Cartello di Sinaloa si divide in quattro fazioni: la prima formata proprio dagli eredi del Chapo, la seconda resta in mano a Zambada, una terza se la prende Aureliano Guzmán Loera, detto el Guano, fratello dell’ex re della cocaina; la quarta è creata da Rafael Caro Quintero, fondatore a suo tempo del Cartello di Guadalajara.
La svolta arriva nel settembre del 2023. Le autorità messicane arrestano Ovidio Guzmán, el Ratón, figlio del Chapo e a capo della fazione dei Los Chapitos. Il ragazzo viene estradato negli Usa e decide di collaborare. Vengono incriminati gli altri tre fratelli, due ancora latitanti, e la polizia messicana cattura anche Néstor Isidro Pérez Salas, detto El Nini, capo dei sicari della fazione. Ismael Mayo Zambada sfugge a questa offensiva. Giravano voci sul suo stato di salute diventato precario negli ultimi tempi. L’unico giornalista che lo ha incontrato è stato il direttore del settimanale Proceso Julio Scherer, uno dei decani del giornalismo messicano. Gli concesse una sola confidenza: «Ho il terrore che mi rinchiudano».