la Repubblica, 27 luglio 2024
Biografia di Doug Emhoff
NEW YORK – «Ero in palestra quando un conoscente si è avvicinato: “Guarda le notizie...”. L’endorsement di Biden a mia moglie mi ha colto impreparato. Sono corso a recuperare il telefono e ho trovato centinaia di messaggi: “Chiama Kamala”. L’ho fatto e lei mi ha apostrofato: “Dove sei? Ho bisogno di te”». Douglas “Doug” Emhoff, che compirà 60 anni due settimane prima delle elezioni di novembre, ha raccontato così il momento in cui ha appreso che la donna sposata 9 anni prima era in gara per la presidenza degli Stati Uniti. “I am just a guy, not a politician”, sono uno qualunque non un politico, d’altronde, è il suo motto da sempre. E un americano qualunque lo è certo stato fino all’incontro con l’allora procuratrice d’acciaio della California.
Nato nel 1964 a Brooklyn, New York, da una famiglia ebrea, è cresciuto nel New Jersey fino a 17 anni. Poi si è trasferito a Los Angeles, California, con la famiglia. Qui si è laureato in legge, sistemandosi nel prestigioso studio legale Belin Rawlings & Badal. Dove, fra le clienti, ha trovato il suo primo amore: la produttrice cinematografica Kerstin Emhoff, sposata nel 1991. Hanno due figli: Cole, 29 anni, ed Ella, 25: chiamati così in onore dei suoi musicisti jazz preferiti. Dopo il divorzio, nel 2008, restano in ottimi rapporti. Diventato un esperto di copyright, ha, fra i clienti più celebri, Francis Ford Coppola, cui un’azienda vinicola emergente aveva copiato il marchio del vino. E il Chihuahua di Taco Bell: catena di fast food che dopo avere usato il cane per i suoi spot, era stata trascinata in tribunale da una società rivale che sosteneva di aver avuto l’idea per prima. L’indaffarato avvocato incontra nel 2013 quella che l’allora presidente Barack Obama aveva appena definito “la procuratrice più carina del Paese” (scatenando un tale finimondoda doversi scusare). Tocca alla comune amica Chrisette Hudlin, moglie del produttore afroamericano Reginald (“Django Unchained”) organizzare un appuntamento al buio: «Non cercarlo su Google», suggerisce, come ha raccontato la stessa Kamala in The Truths We Hold. Dopo una sola uscita lui, le scrive: «Sono vecchio per giocare. Mi piaci davvero, vediamo se funziona». Il matrimonio, che più misto non si può, viene celebrato nell’agosto 2015: bicchiere rotto sotto il tacco di lui secondo tradizione ebraica, collana di fiori al collo in rispetto alle radici indiane di lei.
Quando nel 2016 Kamala è eletta in Senato, Doug chiede aiuto all’ex moglie per una missione speciale: come sposo di un senatore, deve offrirne una ricetta di cucina alla FirstLady. La vera prova d’amore arriva nel 2020, quando Harris è chiamata alla vicepresidenza e Doug è costretto a licenziarsi, perché lo studio dove lavora ha fra i clienti case farmaceutiche e fabbriche di armi, incompatibili con il nuovo ruolo.
Se Kamala approderà alla Casa Bianca, sarà la prima donna, prima afroamericana, prima asiatica, prima di origini indiane; e seconda “sangue misto”, dopo Barack Obama. Ma in fatto di primati l’aspirante First gentleman non sarà da meno: primo partner maschio di un(a) presidente, primo di fede ebraica. Della moglie è il più fiero alleato: quando Trump le ha dato della «insignificante e stupida», ha scrollato le spalle: «Tutto qui? Allora ha già perso».