la Repubblica, 28 luglio 2024
Lo sport senza tregua non ferma i conflitti Utopia a cinque cerchi blindata dai gendarmi
Infine l’Olimpiade non è che la continuazione del conflitto con altri mezzi. C’era una volta la tregua. Ora i giochi sono un lago tra due sponde, sulla cui superficie si riflettono quel che è accaduto e quel che succederà. Parigi non val bene una messa in stand by. È tuttalpiù una parentesi, al cui interno la frase continua, usando parole come “sabotaggio”, “attentato”, “guerra”. Parlare, come fa il Comitato olimpico, di «un villaggio dove gli atleti di tutte le nazioni vivono in pace sotto lo stesso tetto» non è neppure retorica, è guardare il dito, l’unghia del dito, per non vedere il resto del corpo, le sue ferite aperte, la fatica con cui resta in piedi.
Se questo piccolo mondo è il migliore dei possibili, perché la sua armonia prestabilita deve essere protetta da 20 mila soldati e 25 mila gendarmi francesi con un piccolo aiuto di altri 2 mila poliziotti dagli amici inglesi? Davvero si può chiudere la porta perché lo spettacolo deve cominciare e dimenticare che 400 atleti ucraini che avrebbero potuto essere selezionati sono invece stati reclutati per il fronte e sono morti? Il 27 luglio strappa dal calendario della memoria il 7 ottobre? Che cosa avverrà a Gaza nel periodo in cui non saremo collegati? Basta una mattina di pioggia sui Campi Elisi per cancellare l’ennesima estate infernale e considerare lunatici i militanti ecologisti e insensate le loro azioni? Chi si fa domande è spesso preferibile a chi ha o si picca di avere soltanto certezze. Il presidente del Cio, Thomas Bach, per esempio è sicuro che «i partecipanti i cui Paesi sono in guerra gareggeranno rispettando le stesse regole». Tra quelle che il comitato ucraino ha imposto ai suoi rappresentanti c’è: non stringere la mano a eventuali avversari russi o bielorussi, anche se presentati, con uno scambio di etichette, come “neutrali”. Zhan Beleniuk, primo membro di colore del parlamento di Kiev e unica medaglia d’oro del suo Paese a Tokyo (nella lotta greco-romana) ha premesso che non potrà mostrare alcuna forma di rispetto per un rivale di quella provenienza e che salire sul podio varrà doppio perché sarà un’occasione per parlare in difesa della sua causa e contro il nemico. Non esattamente la parodia del concorso di bellezza in cui il sogno dichiarato di ogni aspirante è “la pace nel mondo”. In Russia, comunque, nessuno lo vedrebbe o ascolterebbe. Per la prima volta da quarant’anni, dal boicottaggio del blocco sovietico a Los Angeles, l’Olimpiade non verrà trasmessa. Ma se un giavellotto cade nello stadio e nessuno lo sente, non fa rumore? Se nessuna telecamera lo riprende è come se non fosse mai caduto? Come se una tv di Stato, nell’anno 2024, fosse più potente di internet. Non a caso sono gli attacchi di hacker quelli più temuti.
Non c’è un’alternativa ai Giochi olimpici. Non lo sono stati (se non per propaganda) i Brics Games voluti da Putin un mese fa a Kazan. Come non lo furono, seppur con migliori intenzioni, i Tibetan Games che una specie di gigolò dell’Himalaya organizzò a Dharamsala alla vigilia di Pechino 2008. L’unico cortile possibile è quel lo dove ogni 4 anni (con l’eccezione del 2020) si monta il tendone. La differenza è chestavolta dalle finestre che si affacciano si sentono ancora le liti. Il Dream Team non riaccenderà il sogno americano, lasciando il Paese diviso nella più scalmanata e tetra delle campagne elettorali. Non ci sono simbologie possibili, guerre di teatro che si possano combattere su campi da basket: da una parte sigioca e dall’altra si spara. Se va bene.
L’idea della tregua olimpica con il tempo è scivolata in quel vuoto che si forma tra l’utopia e la leggenda. Un po’ come la partita di Natale tra soldati inglesi e tedeschi il 25 dicembre del 1944. Che fu vinta dai Tommy. O dai Fritz. Che forse non èmai stata giocata. Però sarebbe stato bello ci fosse stata. E allora ce la raccontiamo comunque, a scadenze prefissate, ogni volta un po’ meno convinti e ogni volta ottenendo meno credito. Chi ascolta intanto verifica sulla rete con il proprio cellulare, scopre i dubbi e le verità alternative, solleva le obiezioni. Questo è il punto: viviamo in una realtà che non ha più un epicentro e dove ogni cosa e persona è connessa alle altre. Non ci sono un canale unico e un’unica verità, neppure dove non c’è democrazia. È impossibile inquadrare una sola foresta, figurarsi un solo albero che cade. Anche chi guarda l’Olimpiade in tv in contemporanea controlla su un altro minore schermo il calciomercato, le sparate di Trump, gli spari in Medio Oriente o ai confini d’Europa. Non esiste il monopolio della narrazione. Si può zoomare su un evento, ma non abbastanza per renderlo l’unico in corso. C’è una telecamera ovunque, ogni cosa è illuminata. Il conflitto non si ferma perché abbiamo sotto gli occhi la sua continuazione.