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 2024  luglio 26 Venerdì calendario

Silvia D’Amico racconta Silvana Mangano

Sex-symbol esplosivo o raffinata beltà intellettuale? Calda e generosa o gelida ed elusiva? Il mistero che avvolge Silvana Mangano è l’essenza stessa del suo fascino. A cinquant’anni da Gruppo di famiglia in un interno, ultimo film che girò col prediletto Luchino Visconti, nel 1974, sondiamo il «mistero Mangano» assieme Silvia D’Amico, produttrice ed amica del cuore di questa diva magnifica quanto inafferrabile.
Come nacque la vostra amicizia?
«Nel 1966, sul set di un film di Sordi cui lavoravo anch’io. Avevamo gli stessi gusti, amavamo le stesse belle cose, ore e ore assieme a ricamare coperte e cuscini. Il divano su cui lei è seduto l’ha ricamato tutto Silvana, al piccolo punto. Gruppo di famiglia lo fece praticamente gratis, per garantire l’assicurazione che non voleva coprire Visconti malato. Odiava il suo ruolo, una contessa isterica e volgare. È uno dei tanti paradossi di Silvana: per lei quel personaggio fu un sacrificio; eppure ne venne fuori un gran personaggio».
Pasolini definiva la Mangano un enigma. «Algida, distante. Fra lei e il mondo diceva – c’è un vetro».
«La mia Silvana era tutto il contrario. Calda, sollecita, affettuosissima. La verità è che Dino De Laurentiis, sposandola, l’aveva messa su un piedistallo: coperta di gioielli, di regali, una vita nello splendore del Cinerama. Insomma: Silvana non conosceva il mondo reale. Non sapeva prendere un autobus, chiamare un taxi, pagare una bolletta. Così, quando entrò in casa nostra, entrò in una famiglia. Chiamava mamma mia madre; stava in cucina fra i tegami, portava a spasso i cani... Distante? Sulle prime. Ma se ti dava la sua amicizia era allegra, e rideva come i bambini: senza freni, arricciando il naso, quel naso meraviglioso!».
Alla De Laurentiis non c’era nessuna foto del suo successo più clamoroso: Riso amaro. Come mai?
«Perché lei detestava quel film. Quando uscì un francobollo che la ritraeva appunto nei panni della mondina di Riso Amaro, esclamò: Madonna: la culona!. Non sopportava quell’immagine perché, diceva, da quando l’ho fatta ho il sospetto che la gente venga a vedere i miei film solo per guardarmi il sedere».
Allora è vero che non si riteneva una buona attrice?
«Non si riteneva un’attrice. Grande professionista, precisa, disciplinata: un soldato. Ma il sacro fuoco non l’ebbe mai. Matrimonio, figli, ricchezza, successo: tutto era arrivato troppo in fretta, capisce? Pensi che dopo Riso amaro all’aeroporto di Buenos Aires l’accolsero in quarantamila! Ne L’oro di Napoli o Il processo di Verona fu grande. Ma se le dicevo Quanto sei stata brava!, lei faceva spallucce: Ma figurati!».
Anche il rapporto col marito fu contraddittorio. Molti giurano che lo non lo amasse; altri che lo adorasse.
«Un altro paradosso. Davanti agli altri lo trattava malissimo, lo chiamava De Laurentiis, sprezzante, o Mister D. In realtà l’amava molto. Fino alla fine tenne nella borsetta i bigliettini d’amore che lui le aveva scritto. Quando le morì il figlio Federico lei era annientata. E lasciò il marito. Ma per amore: aveva il terrore di trascinarlo con sé nel baratro. E quando Dino si trovò una nuova compagna, lei ne fu sollevata».
Molto si favoleggia sulla love story che a diciott’anni ebbe col diciannovenne Marcello Mastroianni.
«E che rese sempre gelosissimi sia Dino che Flora, la moglie di Marcello. Pensi: Dino non volle mai che Silvana girasse un film con lui. La storia finì perché Marcello, in tournée per mesi a Milano, non le fece una sola telefonata. E quando andò a trovarla sul set di Riso amaro, fu lei ad ignorarlo. Risultato: non si sono parlati per quarant’anni... Ma lui non poteva dimenticarla. Una volta che s’erano appartati in un parco c’era un guardone che li spiava. Lui gli tirò un cazzotto, ma beccò un albero. Da allora, quando cambia il tempo la mano mi fa male sospirava lui – E ripenso a quella stronza, per la quale detti un cazzotto ad un albero!».
Ci fu mai una riconciliazione?
«Negli anni Ottanta Marcello faceva Cin Cin in teatro a Parigi: ci portai Silvana. Era la prima volta che si rivedevano. Lui stava ancora un po’ sulle sue. Solo all’uscita vidi che le cingeva la vita con un braccio. Era fatta. Subito proposi loro il primo film assieme: Oci Ciornie. Un grande successo, oltre che un atto di pace».
Silvana fu anche grandissima amica di Alberto Sordi. Ci fu mai niente fra loro?
«Lo escludo nel modo più categorico. Silvana adorava Sordi perché lui riusciva a farla ridere; e ne fece una deliziosa attrice brillante. Nulla di più. Lui, sì, ne era perdutamente innamorato. Ma chi di noi non lo era?».
Un altro mistero: perché da maggiorata si trasformò in beltà esangue e filiforme?
«Desiderava diventare un’altra. Così si è reinventata: si è rovesciata, letteralmente. Una metamorfosi anche culturale: l’amicizia intellettuale con Pasolini, Rossellini o Visconti alimentava la sua nostalgia di sapere. Raffinò anche la sua eleganza, che era innata, pazzesca. Silvana era come i gatti: elegante per natura. Ennio Flaiano, guardandoci l’una accanto all’altra, mi diceva: In confronto a lei sembrerai sempre una ciclista».
Poi la tragedia: nel 1981 perde l’adorato figlio Federico.
«Federico era bellissimo. Unico figlio maschio, erede designato dell’impero del padre. Mentre girava un documentario sui salmoni in Alaska il suo aereo si scontrò con un altro velivolo. Da quel momento Silvana desiderò solo andarsene anche lei. Ho già le valigie pronte, ripeteva sempre. E faceva cose terribili: andava al cimitero con i cani di lui, Giove e Saturno, e si stendeva sulla lastra di marmo della tomba».
Che significato ha avuto per lei l’amicizia di una donna così speciale?
«Mentre girava Gruppo di famiglia io ero in clinica. Beh: lei veniva a trovarmi tutte le mattine, prima di andare sul set. Quando ebbi gravi problemi cardiaci venne a stare a casa mia, così, con me davanti, i tuoi non sbracheranno. Rimase anche quando andai in America per operarmi: Mi occuperò di loro. Donna unica, Silvana. Amica meravigliosa»