Corriere della Sera, 26 luglio 2024
sfide (e opportunità) della vecchiezza
Un geriatra e un filosofo hanno scritto insieme questo articolo per sottolineare un problema di vita tanto importante quanto trascurato: per la prima volta nella storia, nel questo angolo di mondo, gli individui della nostra generazione hanno ragionevoli probabilità di essere attivi – fisicamente e mentalmente – fino a 85 anni (perlomeno). Da questo punto di vista, quello che ci interessa di più per la comprensione del nostro tempo è la mancata riflessione su questo invecchiamento di massa. Si può, volendo, incolpare di ciò il cosiddetto «ageism», un pregiudizio – non troppo diverso dal razzismo e dal sessismo – che porta a «disprezzare» quanto connesso con la vecchiezza, per considerare rilevante solo quel che accade dal punto di vista clinico. A nostro avviso, invece, il problema di cui stiamo parlando ha una valenza molto più generale.
Prendiamo il grande tema della giustizia sociale, un modo generale di guardare alla società su cui si è concentrato l’interesse della teoria politica negli ultimi decenni. Questo tema è stato prevalentemente discusso in termini universali e astratti. Sulla scia di grandi pensatori, come Habermas e Rawls, che hanno proposto visioni della giustizia in cui non contano le persone con le loro esistenze concrete ma piuttosto i loro ruoli e le loro posizioni rispetto ai beni economici e al potere politico. In questo tipo di visione, prevale così una sorta di diffusa auto-trascendenza che impone di trascurare sentimenti, vissuti, esperienze di vita. Conta così che cosa sei o hai, invece di chi sei. Questo modo di vedere la questione ha marginalizzato la visione esistenziale dei problemi, che pure nel periodo tra le due guerre mondiali del 1900 aveva avuto un impatto assai rilevante nella cultura dell’Occidente. Basti pensare alla reazione basata sul disagio emotivo della persona al cospetto del fiorire della tecnica (che ritorna di attualità nel momento in cui la condizione digitale è pervasiva), oppure alle difficoltà imposte al «secondo sesso» per avere un’idea di giustizia esistenziale più vicina ai reali percorsi di vita.
La nostra idea è che giustizia sociale e giustizia esistenziale debbano coesistere in un più armonioso progetto proprio quando si guarda alla vita degli anziani, dei tanti anziani. È qui che entra in gioco l’invecchiamento di massa. Questo fenomeno – di non facile spiegazione per la rapidità con cui è avvenuto, dove contano le migliori condizioni lavorative, una vita più semplice e i progressi della medicina – genera aspettative nuove e complesse. Un ventenne del 1950, al momento di trovare un coniuge o un lavoro, doveva pensare ai successivi quaranta anni. Un ventenne del 2020 deve invece pensare ai prossimi sessantacinque anni. Cosa che – data anche la velocità del cambiamento tecnologico e sociale – genera problemi molto complessi. Chi saranno i nostri compagni di vita nelle varie sfere – dal lavoro alla famiglia, agli amici e così via – in cui si divide la nostra allungata esistenza? Come dovremo riorganizzare il nostro posto, le nostre priorità e i nostri impegni nella vita prolungata?
I numeri
In Italia, abbiamo circa 25.000 centenari e quasi un milione
di ultranovantenni, la più parte donne che aumenteranno
In Italia, abbiamo circa 25.000 centenari e quasi un milione di ultranovantenni, la più parte donne che aumenteranno e saranno sempre più soli (sole) per mancanza di figli e in larga parte bisognosi di assistenza più nel territorio/casa che nel Pronto Soccorso. Il nuovo tipo di cura è tutto da costruire e la macchina stato ha cominciato a occuparsene. Un italiano su quattro ha più di sessantacinque anni e questi sessantacinquenni hanno un’ aspettativa di vita in buona salute che può arrivare a 15/20 anni. Insomma, ci sono circa 14 milioni di vecchi di cui 4 o 5 da assistere fuori dai Pronto Soccorsi a costi quindi inferiori e a benessere migliore, mentre 10 milioni di loro sono vitali e potenzialmente efficienti. La vecchiezza anche estrema c’è sempre stata (45 centenari nell’ Italia all’inizio del secolo scorso), ma mai come ora abbiamo avuto a che fare con vecchiezza di massa e in buona salute. Ci pare allora che questo inedito della vecchiezza di massa necessiti di avere un ruolo e una concettualizzazione meno vaga dell’attuale. Abbiamo esempi significativi, ed è normale per noi parlare di Trump come di un vecchio attivo e di Biden come di un vecchio da assistere. Oppure quando diciamo che appaiono del tutto adatti ai loro ruoli vecchi come Mattarella o Papa Francesco.
C’è invece da dare un senso, un’identità, promuovendo l’accettazione comune di tutto ciò. C’ è da «inventare» una vita e un ruolo a oggi inesistente per i molti che affronteranno l’inedito di una vita dotata di 25/30 anni in più. Con l’opportunità di soddisfare il bisogno di socialità piena del singolo – longevità è anche pienezza relazionale – e di disporre, in un paese senza risorse naturali, dei nostri 10 milioni di vecchi «abili», petrolio umano soprasuolo. Tutti dobbiamo consultarci per uscire da una vecchiezza «fai da te» e in primo luogo la Politica deve riflettere e proporre.