la Repubblica, 26 luglio 2024
Il bilancio della Santa Sede è in rosso
Non solo l’arcivescovo scismatico Carlo Maria Viganò o le polemiche attorno alle coppie gay: papa Francesco ha anche crucci dovuti, più prosaicamente, all’inflazione, alla raccolta delle offerte, alla necessità di far quadrare i conti nel piccolo Stato pontificio. È quanto emerge dall’ultimo bilancio della Santa Sede, che, a quanto risulta a Repubblica, mostra un deficit operativo in aumento di soli 5 milioni rispetto all’anno passato, contenuto grazie allo spending cut e alla valorizzazione del patrimonio immobiliare. Se nell’ultimo anno le donazioni sono state stabili, nel medio periodo sono però in calo costante. E in prospettiva il disavanzo non potrà che aumentare, a meno che il Papa e i suoi uomini non mettano mano ad una dieta dimagrante.
La Santa Sede non ha né tasse né politica monetaria. Gli unici introiti sono le donazioni: quelle che ogni anno vengono inviate a Roma dalle Chiese più ricche (Stati Uniti, Italia, Germania, Spagna e Corea del Sud) e quelle versate al Papa dai fedeli di tutto il mondo tramite l’Obolo di San Pietro. Nel 2023, nelle casse dell’Obolo sono entrati 48,4 milioni (erano 43,5 nel 2022) ma, attingendo alle riserve, ne sono usciti 90 per sostenerela Curia. Nel corso dei decenni, però, le donazioni dell’Obolo sono calate: dopo aver raggiunto un picco nel 2006, l’anno successivo all’elezione di Benedetto XVI, e dopo un ulteriore balzo, più ridotto, per l’elezione di Francesco nel 2013, la colletta è andata diminuendo. Tra il 2015 e il 2019 la raccolta è diminuita del 23%. Negli ultimi anni ha pesato senz’altro lo scandalo del palazzo londinese e pesano probabilmente le polemiche sorte attorno ad alcune aperture di papa Francesco, come la benedizione delle coppie gay, che ha verosimilmente indisposto i fedeli più conservatori. Il Vaticano ultimamente ha lavorato per migliorare il meccanismo delle donazioni, introducendo ad esempio il Qr Code e l’uso di Paypal, e già ci sono segnali di una risalita. Quanto alle diocesi più ricche, è prevedibile che, in una società che si va secolarizzando, la diminuzione dei fedeli si tradurrà in tempi non brevi in un calo dei contributi inviati a Roma. Così come è plausibile che in prospettiva la spesa previdenziale, con l’invecchiamento della popolazione anche nel piccolo Stato vaticano, aumenterà in modo significativo. Facendo intravedere, nel lungo periodo, una razionalizzazione della burocrazia.
Nel breve periodo, la sfida è stata, più banalmente, l’inflazione. Secondo i dati contenuti nell’ultimo bilancio della Santa Sede, da poco approvato dal Consiglio per l’economia guidato dal cardinale Reinhard Marx, il deficit operativo per il 2023 è stato di poco più di 83 milioni di euro: 1.152 milioni di euro i ricavi operativi, 1.236 milioni le spese operative. Il quadro migliora se si prendono in considerazione i risultati finanziari, che però possono non realizzarsi: il deficit diventa di 68 milioni. Il disavanzo di 83 milioni è di soli cinque milioni superiore a quello dell’anno precedente – quando la Santa Sede, in realtà, non ha pubblicato il bilancio – di 78 milioni. L’anno scorso i ricavi sono aumentati di 28 milioni, ma anche le spese sono cresciute di 33 milioni. L’inflazione ha costretto lo Stato pontificio ad aumentare gli stipendi e a spendere di più a causa del caro energia. I calcoli al pallottoliere si accompagnano, in Vaticano, a conflitti più o meno felpati. Prima ancora che si concludesse il processo sulla compravendita-truffa del palazzo al centro di Londra, il Papa ha trasferito sotto l’Apsa i fondi prima gestiti in autonomia dalla Segreteria di Stato. Decisione che ha creato qualche malumore tra le Mura pontificie, ma che va nella direzione di centralizzare e controllare meglio gli investimenti.
Il deficit, che viaggia quasi sempre sopra i 50 milioni, sarebbe poi ben superiore se in questi anni il Papa non avesse intrapreso un deciso contenimento dei costi (contratti di lavoro, appalti), e un rilevante miglioramento degli introiti. Sono stati valorizzati, in particolare, gli immobili gestiti dall’Apsa: andando ad intaccare antichi privilegi, l’organismo che amministra il patrimonio della Sede apostolica, guidato dal salesiano Giordano Piccinotti, sta mettendo in affitto appartamenti che erano sfitti, o lasciati nelle disponibilità dei cardinali residenti a Roma, e li sta adeguando ai costi di mercato. Alcuni immobili vengono messi in vendita. Quanto agli investimenti, se ne occupa un comitato ad hocche, nel corso del pontificato di Francesco, ha acquisito competenze professionali.
In teoria il deficit della Santa Sede potrebbe essere appianato, in un sistema di vasi comunicanti, dallo stesso Vaticano, ma non sempre è così. Sul bilancio, di solito, vengono stornati parte degli introiti del Governatorato (ossia l’amministrazione dello Stato, distinta dalla Santa Sede, che incassa in particolare i ricavi dei Musei vaticani), e parte dei surplus dello Ior, il cui uomo forte, il direttore generale Gianfranco Mammì, ha la fiducia personale di Bergoglio. L’ultimo anno, però, dal Governatorato sono arrivati “solo” 15 milioni e lo Ior – che pure nel 2023 ha donato 13,6 milioni ma «per le opere di religione di Sua Santità» – da due anni non versa un euro al bilancio della Santa Sede.