Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  luglio 24 Mercoledì calendario

COME SI DICE FORZA ITALIA IN CALABRESE? - L’OBIETTIVO DI MARINA E PIER SILVIO DI PORTARE IL PARTITO AL 20%, TRASFORMANDOLO NELLA “CASA DEI LIBERALI E DEI MODERATI”, DEVE FARE I CONTI NON SOLO CON L’IRRILEVANZA DI LEADERSHIP DI TAJANI MA CON LA CRUDELE REALTÀ - IL 10% INTASCATO DA FORZA ITALIA ALLE EUROPEE APPARTIENE ALLA VECCHIA ARCHITRAVE MERIDIONALISTA: MARTUSCIELLO HA OTTENUTO L’11% IN CAMPANIA, OCCHIUTO IL 18% IN CALABRIA, SCHIFANI IL 23% IN SICILIA. MENTRE NEL LAZIO (REGIONE DEL CIOCIARO TAJANI) ARRIVA AL 4% E NEL NORD EST AL 7% (FLOP DEL BRAND LETIZIA MORATTI) - IL PROBLEMA È CHE I DUE FIGLI DEL CAV, PUR ESSENDO PROPRIETARI DEL PARTITO, NON HANNO RAPPORTI CON I RAS LOCALI CHE, PUR NON GODENDO DI GRANDE CONSIDERAZIONE, SONO QUELLI CHE SPADRONEGGIANO IMPIPANDOSENE ALLEGRAMENTE DELLA “FASE 2” DEL BERLUSCONISMO…

Negli ultimi giorni, smarginando irritualmente dallo loro proverbiale riservatezza, Marina e Pier Silvio Berlusconi hanno reso pubblica la loro insoddisfazione per le performance di Forza Italia sotto la gestione dell’impalpabile Antonio Tajani. È vero che l’ex monarchico, divenuto ministro, ha inanellato figure barbine a figuracce barbose, come quando chiese scusa “in quanto uomo” per l’omicidio di Giulia Cecchettin. Ma la vera deficienza che affligge il settantenne ciociaro è quel quid che lo trasformi in un leader capace di opporsi agli alleati di governo.

Ad esempio: quando decidono, a sua insaputa, di proporre una tassa sugli extra-profitti bancari (per la gioia della Banca Mediolanum, cara alla Famiglia di Arcore). Ancora: dove era Tajani quando Salvini con l’acquiescenza della Melona, ha ottenuto la riduzione di 20 euro ai 90 del canone Rai?

Se la prima minchiata è stata debellata dal sistema bancario italiano, la seconda ha tagliato con successo il traguardo, riuscendo a ridurre di oltre 400 milioni il budget di viale Mazzini che sarà recuperato aumentando il tetto pubblicitario a spese di Mediaset, La7, Discovery, etc.

Ma è altrettanto vero che Tajani, all’interno del partito, è un re travicello, una figura di raccordo più che un leader, visto che i voti non li porta lui. Lo si è capito col voto del 9 giugno. A spadroneggiare sono i tre reucci di Forza Italia: Roberto Occhiuto in Calabria, Renato Schifani in Sicilia e Fulvio Martusciello in Campania.

Ciascuno di essi ha una “agenda” diversa da quella berlusconiana: il governatore della Sicilia è ormai impegnato in una guerra a distanza con il meloniano Musumeci (a cui ha sfilato la Presidenza della Regione); Occhiuto e Martusciello sognano invece di impadronirsi del partito, forti dei risultati elettorali, a loro favorevoli, e approfittando dell’assenza di alternative valide.

Se Forza Italia alle Europee ha raggranellato quasi il 10% (9,59%) si deve alle loro “ramificazioni” sui territori. L’obiettivo di Marina e Pier Silvio, di portare il partito al 20%, trasformandolo nella “casa dei liberali e dei moderati”, inseguendo il vecchio sogno di Silvio Berlusconi, li costringe a un bagno di realtà.

I due eredi, che da un lato devono occuparsi delle aziende di famiglia e fare dunque scelte “interessate” (come l’operazione “Mediaset for Europe” acquisendo ProsiebenSat in Germania, ma su cui pende il giudizio della politica tedesca, che in cambio vorrebbe che Forza Italia mollasse la Meloni), dall’altro vogliono onorare la memoria di papà Silvio con un partito liberale ed europeista, “faro dei moderati”.

Il punto non è solo salvare l’esistente 10%, ma rilanciare in ottica futura: nuovi volti, giovani dotati di leadership, approccio “liberal”, come esplicitato da Marina Berlusconi nell’intervista al “Corriere” (“Personalmente, ad esempio, sui diritti civili. Se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbtq, mi sento più in sintonia con la sinistra di buon senso”).

Al momento, però, il partito si regge su una vecchia architrave meridionalista, consolidata da Napoli in giù. L’asse geografico del partito, infatti, è quasi totalmente spostato al Sud: FI alle Europee ha ottenuto l’11% in Campania, il 18% in Calabria e il 23% in Sicilia, mentre a Roma (città del ciociaro Tajani e di Barelli) non arriva al 5% e nel Nord Est al 7%.

L’ex fortino lombardo è stato espugnato dai meloniani La Russa-Santanchè e l’operazione Letizia Moratti è stata un fallimento (l’ex sindaca ha racimolato soltanto 41mila preferenze).

Tajani non sa che pesci prendere, circondato da un Gasparri che si inventa l’obbrobrioso para-fascio “reddito di maternità” e un Barelli che sbarella cercando di smazzare il dossier nomine. La famiglia Berlusconi s’è accorta che sono necessarie, oltre a un ringiovanimento dei vertici del partito, nuove energie spendibili soprattutto per radicarsi al Nord (in Lombardia e Veneto) e riconquistare un’area elettorale ormai spostatasi su Fratelli d’Italia e Lega.

Il ricambio generazionale che hanno in mente Marina e Pier Silvio punta a dare un respiro nazionale a Forza Italia, sganciandola dalla sua nuova dimensione a trazione meridionale. Il problema è che i due figli del Cav, pur essendo proprietari del partito, non hanno rapporti con i ras locali che, pur non godendo di grande considerazione, sono quelli che portano i voti e hanno permesso al partito di continuare ad esistere al 10%.

Si trovano, dunque, nell’anomala situazione di avere le redini in mano senza sapere come guidare il cavallo (ad esempio, il no di Tajani al rientro di Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, sintetizzato nella frase “Non siamo un albergo ad ore”, si deve al veto posto da Martusciello, che non vuole vedere la moglie di Alessandro Ruben neanche in fotografia).

Un cambio di rotta nel partito diventa necessario in questa fase anche per gli equilibri interni alla coalizione di centrodestra: il no a von der Leyen ha aperto una guerra tra il governo Ducioni e Bruxelles, e Forza Italia, che pure è membro storico del Ppe e parte integrante della maggioranza Ursula, rischia di essere stritolata. Un primo segnale di indebolimento del partito si è avuto ieri: Forza Italia non ha ottenuto nessuna presidenza di commissione (nella legislatura uscente era al vertice di quella Affari costituzionali).

Ps. Gianni Letta in questi giorni sta trattando per conto di Forza Italia le future nomine in Rai. Discutere di tv pubblica significa ovviamente parlare anche di Mediaset, su cui si è abbattuta l’iniziativa di Matteo Salvini sulla riduzione del canone, con conseguente innalzamento del tetto pubblicitario per la Rai.

Un meccanismo che finisce per danneggiare il Biscione e La7, che incasseranno meno soldi: la rappresaglia del leader leghista sulle tv private si deve alla considerazione che il Capitone non sente più di avere dai talk di Rete4 (che in passato gli hanno tirato la volata) e alla frustrazione per le legnate che riceve tutti i giorni dalle trasmissioni della tv di Cairo.