il Giornale, 23 luglio 2024
Prigioniere di un «Femminismo inutile»
Chi sono i veri nemici delle donne? Le nuove femministe. Già il fatto che parlino a nome di tutte le donne è la riduzione della donna occidentale da persona pensante e un panda da proteggere. In ogni caso, sentite qui: «Tutti gli uomini sono dei potenziali stupratori. Poi ho capito che con stupro intendeva una anche una mano sul ginocchio o un apprezzamento non richiesto. Ho cercato di farle notare che un uomo potrebbe essere considerato uno stupratore quanto un cane un potenziale sbranatore». Annina Vallarino, intellettuale, giornalista, impegnata nei social, che ha vissuto a Londra e ora in Francia, risponde così alla figliastra, e racconta l’episodio in un libro appena uscito che definirei fondamentale per comprendere le follie del femminismo postmoderno: titolo Il femminismo inutile, edito da Rubbettino.
È un saggio scorrevole e documentatissimo, lucidissimo, culturalmente imparziale (grave difetto oggi), e scritto da una donna (significa qualcosa? No, se lo avessi scritto io mi avrebbero dato del misogino, cosa che già fanno, ma hanno ricoperto di insulti anche lei, essere donne conta solo quando fa comodo a loro). Quando l’ho letto ho pensato: finalmente. Perché Vallarino non risparmia una sola delle contraddizioni del femminismo postmoderno. Prendiamo, tra i mille esempi, Giulia Blasi, attivista del femminismo internazionale: «Per essere donne è un pessimo momento. Invece è un momento perfetto per essere femministe: quando le cose vanno male, come ora, il femminismo diventa più vivace». Ma davvero vanno così male? Diciamo che il femminismo oggi è l’unico modo per fare carriera intellettuale e avere una posizione comoda in un salotto comodo. Vallarino scrive: «Se questo è un pessimo momento per essere donne, deve essercene stato uno migliore. Ma quale? Penso all’Antica Roma dei pater familias, in cui le donne oscillavano dalla tutela paterna a quella coniugale, con una libertà praticamente nulla. Che dire del Rinascimento, epoca in cui continuavano a essere prive di ogni potere decisionale, confinate ai ruoli di monaca, moglie, serva, cortigiana. Quindi, passiamo agli albori del Novecento: la maggior parte delle italiane a malapena raggiungeva l’alfabetizzazione. Infine, mi soffermo sugli anni Cinquanta, quando ancora si moriva per aborto clandestino e la pillola anticoncezionale era un lusso per pochi». Senza considerare che «nel 2022 abbiamo assistito all’elezione della prima premier, seguita, nel 2023, dalla nomina delle prima segretaria del partito d’opposizione».
Dati alla mano, si fa notare che oggi le donne si laureano più degli uomini, i medici donna sono la metà dei professionisti, le avvocatesse rappresentano il 47%, e lasciamo perdere il mondo della cultura e della televisione, aggiungo io. La cultura dominante è infatti «un femminismo profondamente autoindulgente e vittimistico». Il vittimismo, d’altra parte, dal #metoo in poi, è diventato il modo migliore per fare carriera o riesumare carriere fallite, una vera e propria professione. Se un ospite (maschio, etero, cis, va da sé) di una trasmissione interrompe maleducatamente il conduttore e quest’ultimo gli dice «stai zitto» tutto ok, quando venne detto a Michela Murgia ne nacque una lagna infinita e perfino un libro (titolo: Stai zitta), come se questa fosse una denuncia di mancata parità e non la richiesta di un privilegio di debolezza: essere trattate diversamente in quanto donne, come le dame dell’Inghilterra vittoriana.
C’è una bella definizione di Vallarino: «Il femminismo degli affari marginali». Tipo che uno ti fischia per la strada perché sei bella (il famoso «catcalling», di cui ci siamo già dimenticati) e il gesto viene equiparato a qualsiasi violenza («una violenza che, nel loro linguaggio, può oscillare tra un atto atroce come uno stupro e una semplice battuta di dubbio gusto»). Il fischio viene amplificato per mettere su una banda di femministe indignate, e a emergere sono le solite madrine matriarcali. Le matrone citate sono tante, da Laura Boldrini a Rula Jebreal, così internazionali da dimenticarsi di tutte le donne oppresse ogni giorno nei Paesi islamici perché le religioni vanno rispettate (come Michela Murgia, che per incontrare una donna islamica si mise il velo, per rispetto, ossia per rispetto di una cultura patriarcale che sottomette le donne privandole di ogni libertà). «Si tratta di femministe che pur dichiarandosi campionesse dell’emancipazione femminile dal gioco patriarcale, sembrano paradossalmente voler assoggettare le donne sotto un’altra forma di dominio: la loro». Ci sono tuttavia molte femministe illuminate che hanno illuminato Vallarino, come Camille Paglia (anche lei attaccata dalle neofemministe) e molte altre.
In ogni caso è un libro che potrebbe diventare il manifesto di un femminismo intelligente, non ideologico, non ottuso, in molti casi anche scientifico. Vi cito solo i titoli di alcuni capitoli: «L’ossessione per le parole», «Una competizione tra vittime», «L’industria della sofferenza», «Cultura dello stupro: storia di un’americanata», «L’Islam e l’oltraggio selettivo», «Quando il dibattito è annullato», «La paura del sesso» (era ora che in Italia ci si accorgesse della sessuofobia del femminismo che si mangia la coda). Annina Vallarino, una di noi, maschi o femmine non importa, ma individui liberali e libertari.