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 2024  luglio 23 Martedì calendario

Giorgia l’ambiguità non paga


Di solito, una vittoria elettorale, specialmente per chi è al governo, è il viatico per un periodo di tranquillità, o per mettere da parte i problemi politici che inevitabilmente si presentano dopo un periodo medio o medio-lungo, due anni, scadenza che si avvicina a Palazzo Chigi per Meloni. Invece, pur avendo la premier accettato di rimettere la posta in gioco nella prima consultazione a carattere nazionale, le conseguenze del voto dell’8 giugno cominciano a farsi sentire, ancor prima che l’autunno porti i problemi più seri da affrontare.
Sebbene le aspettative fossero più alte – il traguardo del 30 per cento inizialmente annunciato dai sondaggi e successivamente ridimensionato al pur dignitoso 28,5 trovato nelle urne -, e sebbene i precedenti fossero più forti (il 40 per cento di Renzi del 2014 e il 34 di Salvini nel 2019), Meloni poteva vantare il fatto di rappresentare la forza di governo che cresceva di più nell’ambito del destra centro. Ciò che non era prevedibile, e l’ha costretta a una sterzata dagli effetti complicati, era la nascita alla sua destra in Europa di due schieramenti di destra estrema decisi a fare l’opposizione dura contro la maggioranza (Ppe-Socialisti e democratici-liberali-Verdi) dell’Europarlamento che ha rieletto alla presidenza Metsola e ridato la fiducia per un secondo mandato alla guida della Commissione a Von der Leyen. Come s’è visto nella scelta del candidato spagnolo Colomina per la delega del fronte meridionale della Nato, infatti, aver votato “no” a VdL per proteggersi il fianco destro dagli attacchi di Salvini e Le Pen ha portato Meloni all’inizio di un’emarginazione che potrebbe costarle, sia in termini di responsabilità più o meno importante per il commissario italiano, sia di ascolto nella negoziazione che l’Italia dovrà condurre sul debito e sulle linee guida della legge di stabilità in autunno. L’ambiguità per cui Meloni restava “personalmente” vicina all’amica Ursula a prescindere dalla sua collocazione politica, potrebbe non bastarle più. Anche perché il nostro Paese continua a rifiutarsi di ratificare il Mes, mentre cresce la conflittualità tra i vicepremier Tajani e Salvini, alleati di Meloni ma schierati su sponde opposte, uno con il Ppe, l’altro con il gruppo sovranista dei Patrioti, in Europa. —