Corriere della Sera, 23 luglio 2024
Intervista a Simone Cristicchi
Lontano dai palchi, nel silenzio assoluto di un monastero di clausura. La ricerca spirituale di Simone Cristicchi dura da anni e una volta lo ha portato anche lì. «Sono stato una settimana senza dire una parola, ma è in quel momento che inizi a parlare con te stesso», racconta. Un concerto non si improvvisa, tanto meno un concerto mistico, come quello dedicato a Battiato («Torneremo ancora. Concerto mistico per Battiato») che il cantautore porta in tour da tre anni con Amara e che il 28 luglio sarà proposto da La Milanesiana a Livigno (Sondrio).
In un’epoca in cui lo spettacolo corre sempre più veloce lei è in scena con un concerto nato tre anni fa.
«Sì, è la terza estate che porto avanti questa idea. Amo da sempre Battiato e, dopo aver parlato con il suo manager storico, ho pensato a un progetto che non fosse il classico omaggio all’artista, come farebbe una cover band, ma a uno spettacolo che avesse nella sua ricerca interiore il filo conduttore. Ho reinterpretato quindici suoi brani».
Che rapporto aveva con lui?
«Nel 2002 lo aspettai due ore nella hall dell’albergo che lo ospitava per consegnargli una cassetta con le mie prime canzoni. Lui fu molto gentile e accogliente. Nel 2007, all’indomani della mia vittoria a Sanremo con “Ti regalerò una rosa”, ricevetti una chiamata: voleva conoscermi. Passammo una giornata a casa sua, è un ricordo prezioso».
Cosa la colpì più di lui?
«La sua cultura immensa: non era solo un compositore di canzoni, ma anche di opere liriche, teatrali... per non parlare di quella che aveva in campo religioso e spirituale, che spaziava dall’induismo al cristianesimo fino all’esoterismo. Seguendo le sue orme ci si imbatte in un universo sconfinato di crescita».
La sua è una carriera particolare, fatta di grandi picchi e di apparenti ritirate. È così?
«Non ho mai agito secondo una strategia di marketing ma con libertà di scelta totale. Ho confuso le acque. L’anno di rottura è stato il 2010, quando improvvisamente ho messo in scena un monologo teatrale. Ne è nato un percorso. Ormai il teatro è preponderante per me, da 14 anni a questa parte. È la mia isola dove posso sperimentare: non esistono classifiche o numeri. O, se esistono, sono numeri reali: si riferiscono a persone che vengono fisicamente a sentirmi».
Un altro concetto in controtendenza con il sistema, no?
«Mi interessa l’aspetto fisico dell’arte, cioè la mia vita sul palco, piuttosto che quella che c’è dentro un telefonino o su Spotify. Sono consapevole di aver tralasciato la mia attività discografica, eppure a breve tornerò con un disco: un dono per le persone che lo aspettano da tanti anni».
Dice di aver tralasciato la sua attività discografica: nessun rimpianto?
«Non mi è mancato nulla, è stato tutto un lavoro in crescita, basato sul mio istinto, che non mi ha mai tradito. Anche questo concerto poteva essere un fiasco, invece mi ha stupito: pensavo si esaurisse in una stagione ma continuano a fioccare le richieste e i teatri sono sempre pieni. Io ho sete di questo tipo di arte: il mio è un rituale 2.0 collettivo, in cui evochiamo questa grande anima».
Lei crede nell’immortalità dell’anima?
«Sì, penso che sopravviva alla morte, anche fosse solo una parte infinitesimale. È una suggestione che mi fa vivere bene».
Come giudica lo stato della musica in Italia, oggi?
«Voglio essere diplomatico: credo ci sia spazio per tutti. Il problema è quando ci si affida al gusto di altri, quando deleghi ad altri cosa ascoltare. Esistono persone che fanno numeri spaventosi su Spotify o sui social ma che poi hanno difficoltà a riempire una sala. Noi con questo concerto, con zero copertura radiofonica, abbiamo fatto 60 sold out».
Lei però ha fatto anche parte della musica mainstream, dei ritornelli che tutti cantano, no?
«Direi di no, “Vorrei cantare come Biagio” finì nel calderone dei tormentoni estivi ma io ne soffrivo perché davo a quella canzone un senso profondo: seppur ironica, esprimeva la difficoltà di un giovane artista nel far riconoscere la sua unicità».
Antonacci le ha dato dell’ingrato: dopo quel successo, non ebbe più contatti con lui.
«Non voglio entrare nel merito ma aggiungo che di me tutto si può dire tranne che sia una persona che non prova gratitudine».
Tornerebbe a Sanremo?
«Sì, l’ho anche fatto, nel 2019 ed erano 5 anni che mancavo. Ora vorrei tornare con una canzone che rispecchi il mio stato attuale, senza inseguire un facile successo».
La Milanesiana ha come tema portante di quest’anno la timidezza.
«Io sono sempre stato molto timido, al limite con l’autimso: da ragazzino vivevo in un mondo tutto mio, in cui mi ero chiuso a dieci anni, per il dolore di aver perso mio padre. Mi è venuta in soccorso l’arte, per fortuna: ho iniziato a disegnare e sono riuscito a vincere la timidezza. La musica, poi, mi ha fatto spalancare al mondo».