Corriere della Sera, 23 luglio 2024
Intervista a Luca Josi
Craxi, le monetine, Einstein, Augusto imperatore, il Metaverso, Mina, il ballerino ipnotico, i robot, Muti, l’Intelligenza artificiale. Ha vissuto molte vite Luca Josi. La sua sagoma allampanata, timida e vulcanica, quasi da cartoon, ha surfato su misteri ed eventi rimasti nella storia, tra politica e media. Coinvolgendo nella sua vertigine di creatività, e narcisismo, mostri sacri della musica, del cinema, della meccatronica e persino della chirurgia, a far da testimonial. A partire da Mina che ha acconsentito al ritorno a Sanremo. Trasformata in fascinoso ologramma. La sua onda d’oro, Josi, l’ha cristallizzata in un volume: Il lustro del lustro (Rizzoli, prefazione di Roberto D’Agostino). Un «distant book» sui 5 anni in cui ha ideato, realizzato e prodotto per una multinazionale della telefonia una campagna pubblicitaria da Guinness dei primati. Il record di 1.372 mini robot che ballano in sincronia; il salto in su di 60 posizioni nella classifica dei brand, grazie anche alla sponsorizzazione unica di Sanremo; i Webby di New York e i Leoni di Cannes. Ma per il «più giovane fossile vivente della Prima Repubblica» la prima onda da cavalcare fu uno tsunami: Craxi.
Che ci faceva, venticinquenne, nell’auto in cui il leader del Psi si rifugiò da monetine e insulti?
«Ero da due anni segretario dei Giovani socialisti. Me lo aveva presentato Giuliano Amato, poco prima che lo diventassi».
Cosa provò di fronte alla folla che gridava: «Bettino vuoi pure queste?».
«Non erano così tanti. Lo slargo di fronte al Raphael è un buco: in tv quel gruppo di manifestanti risultò una marea umana. Incidentalmente uno spezzone della manifestazione di protesta del Pds era stato fatto incanalare davanti all’albergo. E lo spettacolo fu servito».
Ma la rabbia non era diffusa?
«Credo che molti oggi per tornare al benessere di quel periodo chiederebbero: “Dove si firma?”».
Se l’abbiamo perso non c’entrano le mazzette che nella sua Liguria sembrano continuare?
«Il Paese non ha avuto la forza di rigenerarsi. Anche un funerale ha dei costi. Quando Craxi in Parlamento denunciò che pure la politica ne ha nessuno si alzò per smentirlo. Erano in 500. Trent’anni dopo invece di affrontare il nodo del finanziamento ancora si cercano scorciatoie. Come affidare la politica ai benestanti o ai tecnici, notoriamente terzi (sorride ndr)».
Quanto potere condivideva con lui?
«Lui era Craxi. Io non avevo alcun potere se non la fortuna di poter vedere tutto. E scrivere molto».
È fortuna assistere a un crollo?
«Di lì in poi fu una tragedia shakespeariana. C’era tutto: l’ipocrisia, il coraggio inaspettato, ma soprattutto il tradimento. Ho 250 visti tunisini. Furono anni intensi, emozionanti».
Conserva segreti?
«Memorie. Ho più di 70 quaderni in cui ogni giorno prendevo appunti. Un giorno comincerò a organizzarli».
Ce ne dice una?
«Sono 30 anni che osservo un rigoroso silenzio».
Cosa la intrigava di Craxi?
«La magia che riesce solo ai leader: mettere ordine all’entropia della società. Passammo dai plumbei anni di piombo ai sorprendenti Anni 80. Subito dopo fu trasformato nel male assoluto della democrazia. E l’unica parola bandita dalla politica è socialismo. Ma tornerà».
Meloni ha quella magia?
«Ha vinto governando. Cosa rara. La sfida è superare il recinto. Le insidie non le verranno dal passato ma dagli ostacoli del futuro».
Matteo Salvini?
«Era nel codice genetico della Lega passare dal cavaliere Alberto da Giussano al generale Roberto (Vannacci) da La Spezia».
Elly Schlein?
«Pensavo sarebbe andata via non vista, come è arrivata. Pare di no».
Gli studenti in piazza rianimano la politica?
«Mai amato quelli che Garibaldi chiamava esageratori. Trovo ipocriti tutti gli “ismi”. Chi non vuole la pace? Ma se rapiscono mia madre e stuprano mia sorella, non tratto: faccio l’inferno finché non le ritrovo. Sui social ti insultano se non attacchi Israele. Finché nei cortei non grideranno che gli ostaggi devono essere liberati faranno marce moralmente zoppicanti».
Voi del Psi non eravate pro Palestina?
«Il partito era legato all’Olp. Già chiedevamo “due popoli e due Stati”. Mandavamo soldi. Allora per pace e ospedali. Hamas li ha usati per tunnel e missili. Io sono pro “Free Palestine”, ma da Hamas».
La magia del leader
Di Bettino mi intrigava la magia che riesce solo ai leader: mettere ordine all’entropia della società Passammo dagli anni
di piombo ai sorprendenti Anni 80
Europa e Usa sono molto cambiati da allora?
«Il presidente degli Stati Uniti, assieme all’oligarca russo, si conferma uno dei mestieri più rischiosi e “usuranti” della storia contemporanea».
E le nuove classi politiche europee?
«Siamo cresciuti nella guerra fredda, l’abbiamo vista diventare tiepida e adesso stiamo assistendo a quella “terza guerra mondiale a pezzi” che via via sta incollando le sue tessere. Amo la pace, ma...».
Ma?
«Dubito che si difenda con marce e preghiere. Ormai abbiamo dato vita a una società della delega (o della rimozione): l’energia non la vogliamo produrre nucleare ma compriamo quella atomica dalla nazione accanto (sostanzialmente ricettazione energetica); vogliamo l’hamburger ma non ammazzare il vitello; l’albicocca deve essere a chilometro zero ma la mangiamo indossando abiti prodotti a diritti zero. Ci presenteremo ai prossimi conflitti con carrarmati ibridi Euro 8. Una società piena di emboli e schizofrenie logiche».
Tutti parlano di cultura riformista. Sta rinascendo?
«Si vedono più riformisti oggi che maschere a Venezia nel Carnevale. È pieno di ex tolemaici che ti spiegano Copernico. In realtà non guasterebbe che all’accezione di opposizione, solo negativa, si sostituisse quella di proposizione, che indica un’alternativa. E soprattutto il progresso».
Dopo la politica, divenne produttore super richiesto. Grazie agli amici di Craxi?
«No, mi reinventai una vita, con un amico, Andrea Olcese, e capitali genovesi: 7 milioni di lire in due. Fondammo Einstein multimedia. Importavamo format quando in Italia eravamo in pochissimi: da Passaparola, ai Quiz show, ai preserali, al Live 8 di Bob Geldof al Circo Massimo: il più grande concerto gratuito italiano».
L’onda si fa altissima: 5 Telegatti, alti share e fatturati a molti zeri. Poi?
«Poi tutto finisce».
Produceva la soap Agrodolce. Nel libro scrive di «richieste irricevibili di dirigenti tv». Quali e da chi?
«Ho nausea a parlarne. Rimango garantista, soprattutto verso le vittime. Verrà il tempo».
L’onda si infrange e lei va giù. Nell’abisso. Chi le dà la forza di tornare in superficie?
«Il mio amore, Allegra, che ha la forma più alta di intelligenza: la bontà. La mia famiglia. E un amico, Giuseppe Recchi, che mi propone di collaborare con Fondazione Tim e concepiamo il progetto di mecenatismo per il Mausoleo di Augusto, divenuto, da big bang architettonico, buco nero urbanistico. Nel Metaverso, agli albori, facciamo rivivere i giorni dell’imperatore».
Da neofita pubblicitario, diventa capo del brand di una multinazionale. Anche grazie allo spot, con quel ballerino snodato da 60 milioni di visualizzazioni. Dove l’ha trovato?
«Sven Otten? L’ha scovato Allegra sul web. Quella sua mail l’ho incorniciata».
Con lui hanno ballato dall’Uomo ragno, a Stanlio e Ollio. Ma quanto è costato convincere Mina a cantare per lo spot?
«Mina non si convince con la dimensione economica. Ha una storia talmente inarrivabile da poter fare solo cose che le piacciono. Si è divertita. Ed è lei che ha canticchiato per prima l’acronimo dell’azienda. È diventata l’amica per la vita».
E un cardiochirurgo in uno spot, tra Måneskin e Gabibbo?
«Raccontava il futuro: grazie alla connessione il padre di una sposa potrà operare a distanza senza perdere il matrimonio. Il professor Musumeci ha capito. Era perfetto».
Mina dice di lei che è «uno che cammina sempre, con le sue gambine, le sue scarpine, le sue calzine i suoi ginocchietti» e anche quando parla si vede «che il suo cervello sta lavorando come un pazzo». Ora a cosa?
«Sto lavorando a due grandi progetti di fiction, tre documentari, un programma di infotainment. Continuo a lavorare sul Metaverso. E, ora, sull’Intelligenza artificiale».
Il Papa l’ha definito uno strumento affascinante, ma tremendo. Che effetto le ha fatto?
«Da laico, un po’ mi sfugge il senso della presenza del Santo Padre al G7. Speriamo che sull’AI questo pontificato sia meglio consigliato di quelli che osteggiarono l’innovazione di Gutenberg. Lasciandosi superare dai protestanti».
Timori infondati, dunque?
«Siamo nella faglia, dove le paure sono ancestrali. L’Intelligenza artificiale segna un prima e un dopo. È una gigantesca coscienza digitale che cambierà l’uomo. Ma non bisogna temere quel nome distopico: chiamiamola Intelligenza ampliata. È qualcosa che aiuterà la parte più misteriosa del nostro corpo, il cervello, a migliorarsi. Per la guerra vale ciò che vale per ogni invenzione, come il coltello: può offendere o difendere. Tagliare una gola o una torta».
Lo spot virale
Dove ho trovato
il famoso ballerino
della pubblicità Tim?
Lo ha scovato Allegra,
il mio amore, sul web
Quella sua mail
l’ho incorniciata
Su una parete ha il monito di Kipling: «Che tu possa affrontare il trionfo e il disastro e fronteggiare quei due impostori allo stesso modo». Perché allora un libro sul trionfo?
«Ogni libro è un esercizio di vanità. Così come la comunicazione di un’azienda. Ecco perché in copertina c’è il Narciso di Caravaggio. Ma la verità è che nella vita facciamo più tonfi che trionfi. E siamo coriandoli. Tutti».