Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  luglio 23 Martedì calendario

IN MISSIONE PER CONTO DI DIO - IL LIBRO "THE BLUES BROTHERS", DI DANIEL DE VISÉ, RIVELA I SEGRETI DIETRO AL FILM CULT CHE HA FATTO LA STORIA DI HOLLYWOOD - IL COPIONE ORIGINALE FU SCRITTO DA DAN AYKROYD - LA PRODUZIONE DEL FILM FU CATASTROFICA, TRA COSTI ESORBITANTI E JOHN BELUSHI CHE A UN CERTO PUNTO SPARÌ NEL NULLA: ERA ANDATO A CASA DI UN UOMO CHE VIVEVA VICINO AL SET PER SVUOTARGLI IL FRIGO - IL PRIMO INCONTRO TRA BELUSHI E JOHN LANDIS, I PIEDI PALMATI DI AYKROYD E IL RIFIUTO DI LITTLE RICHARD… - VIDEO -

John Landis, regista di Animal House e The Blues Brothers , racconta così il suo primo incontro con John Belushi, star dei due film: «Belushi era a New York per il Saturday Night Live . Io arrivai da Los Angeles e la Universal mi mise in un albergo di lusso. John entrò nella mia stanza e, prima di presentarsi, mi chiese: “C’è il servizio in camera in questa topaia?”. Senza aspettare risposta alzò il telefono, chiamò il ristorante e ordino una cena per dieci persone. Poi mi disse: “Ok, cos’è questo film?”. Gli raccontai Animal House e il personaggio di Bluto Blutarsky.

Non mi lasciò finire: “Fantastico, lo faccio”, mi strinse la mano e se ne andò. Mentre usciva, con un tempo comico degno dei fratelli Marx, entrarono quattro o cinque camerieri con il cibo che aveva ordinato. Mi ritrovai da solo in camera, con non so quanti cocktail di gamberi che non sarei mai riuscito a mangiare».

È una storia che Landis ci ha raccontato tanti anni fa. Un aneddoto di prima mano. Tutto ciò che stiamo per dirvi viene invece dal libro The Blues Brothers , scritto da Daniel De Visé e appena uscito in Gran Bretagna (edizioni White Rabbit). […]

Ricostruisce le biografie di Belushi e Aykroyd, e ripercorrerle è interessante, […] Belushi veniva da una famiglia albanese piccolo-borghese che a Chicago si faceva passare per italo-americana perché sembrava più rispettabile. Studiò al college, avrebbe potuto condurre una vita “normale”. Ma era un formidabile imitatore e il suo primo cavallo di battaglia fu l’imitazione di Joe Cocker a Woodstock. Era un poderoso fumatore di erba ma tutto andò a rotoli quando incontrò la cocaina. Invece Dan, in Canada, era un vero freak. Aveva la sindrome di Tourette, un quoziente intellettivo altissimo, un occhio castano e un occhio verde ed era nato con la sindattilia, una malformazione alle dita dei piedi, unite da una membrana: insomma, aveva le pinne.

Amava visitare le agenzie di pompe funebri e pensò a lungo di farsi prete. La sua vita cambiò quando per puro caso si trovò a suonare la batteria per Muddy Waters, leggenda del blues. Era lui il musicista “in missione per conto di Dio”: ideò e scrisse The Blues Brothers per ridare ai musicisti afroamericani la popolarità che il rock e la disco avevano loro sottratto. Il film fu una specie di anti Febbre del sabato sera . […] Fu sempre Aykroyd a coinvolgere i grandi del r’n’b, da Ray Charles ad Aretha Franklin. Per il ruolo del predicatore voleva Little Richard, che rifiutò: la scelta cadde su James Brown, una manna dal cielo. Il primo copione di Aykroyd si intitolava The Return of the Blues Brothers ed era di 342 pagine, che Landis ridusse a 120. La lavorazione fu catastrofica (il budget si impennò a livelli stratosferici) e tragicomica.

Basterà sapere che l’inseguimento automobilistico nel centro commerciale fu girato in un mall abbandonato, e riarredato dalla produzione con costi iperbolici. La sera in cui dovevano girare, con migliaia di persone e tecnici in attesa, Belushi sparì. Aykroyd andò a una casa lì accanto e suonò il campanello.

Un uomo gli aprì. «Stiamo girando un film», disse Dan. «Sì, me ne sono accorto», rispose l’uomo, un po’ scocciato. «Sto cercando l’attore protagonista»; «È un tizio tarchiato con gli occhiali scuri?»; «Sì, l’ha visto? »; «È entrato in casa mia due ore fa, ha svuotato il frigorifero e adesso dorme sul mio divano». The Blues Brothers non fu un successo, ma nel tempo è diventato un film “cult” e irripetibile: oggi nessuno, a Hollywood o altrove, produrrebbe un film così pazzo, costoso, logisticamente impossibile, scorretto. […]