la Repubblica, 23 luglio 2024
Harris resta senza sfidanti la candidatura è blindata Ora occhi puntati sul vice
NEW YORK – A questo punto l’unica vera corsa tra i democratici sembra essere quella per il vice presidente, che dovrà completare e bilanciare il “ticket” con Kamala Harris. Perché è vero che Barack Obama non l’ha ancora appoggiata pubblicamente, e che i leader di Senato e Camera Schumer e Jeffries sono cauti e aspettano di incontrarla. La ragione di questa prudenza però starebbe nella volontà di preservare almeno la parvenza di un processo democratico per la selezione del successore di Joe Biden, anche se ieri pure la Speaker emerita Nancy Pelosi, grande architetto della sostituzione in corsa del candidato alla Casa Bianca, ha smesso di indugiare per sostenere la seconda donna nella storia degli Usa avviata a contendere la poltrona più alta del Paese.
I primi segnali erano arrivati già domenica, quando le dichiarazioni di appoggio di politici e finanziatori erano piovute quasi con la stessa rapidità dei soldi, 81 milioni di dollari in una giornata. La corsa è proseguita ieri e l’indicazione più significativa è che in sostanza non sono rimasti rivali credibili in grado di sfidare davvero Harris. Tutti i governatori indicati come possibili candidati, uno dopo l’altro si sono schierati al suo fianco o hanno rinunciato a correre. Newsom della California, Shapiro della Pennsylvania, Cooper della North Carolina, Beshear del Kentucky, Pritzker dell’Illinois, Moore del Maryland, Evers del Wisconsin, Murphy del New Jersey, Walz del Minnesota, Polis del Colorado. Gretchen Whitmer del Michigan non solo l’ha appoggiata, ma ha rivelato che farà la co-presidente della campagna elettorale, tirandosi fuori dalla corsa alla vicepresidenza. Lei, come probabilmente Newsom e Moore, puntano alla carica più alta: se Harris vincerà, dovranno rinunciarci per almeno otto anni, ma se perderà nel 2028 toccherà a loro.
Pelosi ha annunciato ieri il suo sostegno cruciale, mentre Schumer e Jeffries dovrebbero farlo a breve, dopo un incontro previsto nelle prossime ore. Resta quindi solo Obama, non perché voglia tenere in caldo il posto per la moglie Michelle, ma per salvare l’apparenza di un processo democratico che non ricordi un’incoronazione, e poi agire da padre nobile della riunificazione del Partito, concedendo l’onore delle armi al suo ex vice Biden.
«Il processo di selezione – spiega un funzionario che ha servito in entrambe le ultime due amministrazioni democratiche – è stato aperto, perché quando Joe ha annunciato il ritiro, chiunque volesse avrebbe potuto farsi avanti. Non è successo, per la volontà dei potenziali candidati, libera e non condizionata. Poi comunque la scelta finale la faranno i delegati, attraverso un voto democratico». Un raccoglitore di finanziamenti elettorali aggiunge che «non c’erano il tempo, e soprattutto i soldi, per organizzare mini primarie o dibattiti. Poi lei ha il vantaggio di avere subito accesso ai finanziamenti già raccolti. Se Biden si fosse ritirato a marzo o aprile sarebbe stato possibile, ma con la Convention fra tre settimane non c’è più modo. La discussione politica è in corso all’interno del partito e le dele gazioni dei singoli Stati decidono. Poi è possibile che ci sia una votazione digitale nella prima settimana di agosto, come era probabile con Biden per chiudere subito la nomina, approfittando delle scadenze per la presentazione dei candidati stabilite da stati come Ohio, California e Washington.Questi obblighi in realtà non sono così stringenti e l’Ohio ha rinviato tutto a fine agosto, ma è possibile che si faccia comunque per definire subito la pratica e lanciare la candidatura di Harris. Altrimenti si voterà a Chicago a metà agosto». L’esito però sembra segnato, visto che circa 700 delegati, ossia oltre un terzo dei 1.976 necessari per ottenere la nomination, si sono già espressi a favore di Kamala. Quanto alle obiezioni legali dei repubblicani di aver violato le regole democratiche, «sono una fesseria, perché la Convention rappresenta la volontà degli elettori ed è sovrana».
La chiave dunque diventa la scelta del vice, fondamentale per bilanciare il “ticket”, quindi probabilmente un uomo bianco di uno Stato chiave. Domenica lei ha chiamato Shapiro della Pennsylvania, che diventerebbe il secondo ebreo candidato a numero due, Beshear del Kentucky e Cooper della North Carolina. Molti spingono anche il senatore dell’Arizona Kelly, perché rappresenta uno degli Stati decisivi, è un ex astronauta famoso, ha fatto il pilota militare dell’Air Force, è sposato con l’ex deputata Gabby Giffords ferita in un attentato e attivista contro le armi, e ha preso posizioni pragmatiche sull’immigrazione che aiutano a contrastare gli attacchi di Trump. La scelta potrebbe avvenire molto presto: la velocità è essenziale.