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 2024  luglio 22 Lunedì calendario

Intervista a Giorgio Parisi

«L’atteggiamento di noi scienziati rispetto alle nuove conoscenze è quello degli esploratori». Giorgio Parisi, Premio Nobel per la Fisica nel 2021 e vicepresidente dell’Accademia dei Lincei, è autore da ultimo di un libro di favole illustrato, La mosca verdolina (Rizzoli), dove si esercita nel racconto della natura ai più piccoli.
Professore, quanto conta l’elemento del gioco nella ricerca scientifica?
«È fondamentale. Pensiamo ai puzzle, la ricerca scientifica può essere considerata la soluzione di tanti rompicapi, uno dopo l’altro. Se gli scienziati non si divertissero non dedicherebbero tanto tempo e fatica nel cercare soluzioni. Stessa cosa vale per la fantasia: lo scienziato deve trovare soluzioni che nessuno prima si era inventato. Anzi deve immaginare problemi cui nessuno prima aveva pensato e per questi problemi deve trovare soluzioni. La fantasia è indispensabile».
Tornando alla realtà, in molte regioni la siccità è drammatica. Cosa risponde a chi dice che è normale che «d’estate faccia caldo»?
«È vero che anche in passato abbiamo avuto siccità e ondate di calore, il problema è che negli ultimi anni, come diceva Totò, si sta esagerando. Le statistiche sono molto chiare e quello che dicono è che non solo la temperatura è aumentata, ma che non è mai successo prima che aumentasse così velocemente. Gli scienziati che hanno vinto il Nobel insieme a me nel 2021 (Manabe e Hasselmann), quarant’anni fa avevano predetto quantitativamente l’aumento della temperatura, ed è esattamente quello che si è verificato».
Come mai una minoranza di scienziati, ma anche di giornalisti e politici, continua a negare che il cambiamento climatico sia provocato dall’uomo?
«Si può sempre trovare qualche scienziato non esperto della materia, che fa un’invasione di campo e formula affermazioni discutibili. Il punto è che combattere il cambiamento climatico richiede uno sforzo colossale, in termini di cambiamento degli stili di vita e di trasferimento di risorse da Paese a Paese. Dunque, è naturale che ci siano resistenze, negazioni con conseguenze anche politiche: pensi ai minatori negli Stati Uniti che hanno votato in massa Trump perché garantiva loro posti di lavoro negando l’esistenza del climate change. È la difesa dello status quo economico e del connesso sistema di potere. Certo, bisogna evitare che i costi della transizione ecologica vengano scaricati sui più deboli, altrimenti la transizione ecologica rischia di diventare impopolare».
Sul tema della crisi climatica i governi continuano a non ascoltare gli appelli degli scienziati. Non c’è troppa poca cultura scientifica nella nostra politica?
«Senza dubbio. Il problema è che la scienza produce dati di realtà, ma quest’ultima non è troppo gradita alla politica. Molti politici sperano di non doverci fare i conti, ma è una speranza infondata: la realtà prima o poi presenta il conto».
Una deriva pericolosa…
«Non ascoltare la scienza è certamente pericoloso. Ma in fin dei conti i politici fanno quello che vogliono gli elettori. È l’opinione pubblica che deve avere una maggiore fiducia nella scienza, e su questo gli scienziati possono fare molto in termini di divulgazione, uscendo dalla bolla della mera ricerca».
Lei ha detto che solo i sistemi complessi possono sopravvivere ai grandi cambiamenti. E invece la tendenza attuale è quella di semplificare il semplificabile…
«La semplificazione rende i sistemi molto più fragili. La politica è – dovrebbe essere – una pratica di compromesso tra problemi complessi. Se riduci tutto ad un solo messaggio come fece Trump nelle scorse elezioni con “Make America Great Again”, o qui in Italia con “Prima gli italiani”, sei destinato magari a vincere un’elezione, ma poi a essere incapace di modificare il reale».
L’Europa chiede di investire sul “nucleare sicuro” di quarta generazione, e anche il governo guarda in questa direzione. Cosa ne pensa?
«Ad oggi il nucleare sicuro di quarta generazione non esiste. Esistono progetti, esiste un numero relativamente piccolo di prototipi. L’aspetto fondamentale della quarta generazione è che produce meno scorie, ma questi reattori non sono necessariamente piccoli e soprattutto, al momento, esistono praticamente solo sulla carta. Inoltre la potenza di un reattore nucleare è poco elastica, produce energia sia di notte sia di giorno, ma noi di giorno abbiamo già l’energia solare. E poi mentre la Germania sviluppa il solare qui in Italia si vuole tornare al nucleare? Mi pare una follia».
Viste le resistenze alla transizione ecologica, c’è chi propone di raffreddare la terra sparando aerosol in atmosfera. Si chiama geoingegneria climatica ed è la nuova frontiera della ricerca sul clima. È fantascienza o una possibilità?
«Non è fantascienza ma parliamo di un ambito di ricerca su cui non ci sono studi sufficientemente accurati. Sul funzionamento dell’aerosol mi domando per esempio quanto tempo queste particelle rimangano in atmosfera e quali effetti potrebbero avere una volta tornati a bassa quota. E comunque una soluzione del genere avrebbe bisogno di un trattato internazionale per un motivo molto semplice: non si possono spendere miliardi di euro per sparare aerosol in atmosfera, mentre Cina e India producono ancora grandi quantità di CO2».
Stiamo parlando di una manipolazione del sistema climatico. Come si governerà il ricorso alla geoingegneria climatica e come si valuteranno i rischi?
«Uno dei problemi è proprio chi si prende i rischi e come si governano. Un altro è chi paga i costi. Perché se non pagano i costi i produttori di CO2, non si può fare. Qualunque cosa fai, devi prima capirla bene e noÈn basta fare esperimenti su piccola scala. Per esempio, non sappiamo come cambierebbe il clima nelle varie parti del pianeta, l’effetto sui venti, sulle correnti marine. È giusto porsi oggi queste domande, anche se le attuali conoscenze della fisica dell’atmosfera non sono affatto sufficienti per avere risposte minimamente affidabili. È una tecnologia che è lontanissima da essere matura».
Dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale?
«Paura no, però dobbiamo governarla. Si tratta di un cambiamento epocale, per questo serve un sistema di regole per garantire i posti di lavoro, ma anche per sapere se un fatto è realmente accaduto o se è stato creato dall’Ai; se una foto è vera o è artificiale e così via».
Geoingegneria, intelligenza artificiale, quali sono secondo lei i principi etici da rispettare nella ricerca scientifica?
«Prima ancora di parlare di principi etici, sarebbe importante avere una maggiore presenza della ricerca pubblica in questi campi emergenti che sono in gran parte nelle mani dei privati. Si dice che la guerra è troppo importante per farla fare ai generali, la stessa cosa vale per la ricerca: è troppo importante per lasciarla ai privati. Non ci sono al momento istituzioni pubbliche che sono in grado di fare questi Large language model (gli algoritmi alla base di sistemi come Chat Gpt), dunque i poteri pubblici non possono avere informazioni dirette su quali siano le problematiche. E se le istituzioni pubbliche non hanno la conoscenza per fare queste cose, è chiaro che poi non hanno la conoscenza per regolamentarle. È un problema molto serio». —