La Stampa, 22 luglio 2024
Intervista a Alessandro Araimo, numero uno di Warner Bros Discovery
«Bad news fast, le cattive notizie velocemente». Tre parole, per descrivere la filosofia di un progetto industriale. L’ambizione di creare la “nostra rete generalista dei sogni». Alessandro Araimo, numero uno di Warner Bros Discovery Italia e Iberia lo ripete come un mantra: «Bad news fast per ricordare che tutti possiamo sbagliare, non siamo infallibili, l’importante è dirlo e cambiare rotta». In realtà Alessandro Araimo di correggere la rotta non ha alcuna necessità. Viaggia a vele spiegate sospinto dagli ascolti in salute. Ha preso in mano la cenerentola delle tv generaliste sul tasto numero nove del telecomando e l’ha portata nel prime time di domenica insieme al suo team con Fabio Fazio e il Papa al 15 per cento di share. E siamo solo agli inizi, ragiona l’ad di WBD: «Ora vogliamo realizzare quello che piace a noi insieme a quello che desidera vedere il pubblico televisivo».
Molti lo hanno detto, qualcuno ci ha provato ma pochi ci sono riusciti…
«Il tema centrale è l’innovazione. Da noi lavorano solo talenti che hanno voglia di innovare, di reinventare il prodotto per costruire una nuova anima televisiva che racconti la realtà. Dati alla mano siamo quelli che più di tutti stanno innovando la tv italiana: quest’anno abbiamo in onda dieci format internazionali lanciati da noi, sessanta concept italiani originali e oltre 70 talent. Tutti guardano al successo di Nove ma Real Time e gli altri canali del portfolio godono di una crescita straordinaria».
Eppure l’amministratore delegato di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, sostiene che il vostro palinsesto guardi al passato e riproponga format vecchi come la Corrida.
«Il tema non è prendere e riproporre modelli televisivi del passato ma selezionare quei contenuti che possono funzionare bene per la nostra idea di canale ideale. Anche Fazio propone su Nove un programma andato in onda per anni su Raitre ma è stato completamente rivisto, riadatto e “riannodato” alla nuova narrativa che piace al nostro canale e al nostro pubblico. E il risultato è che il 40% del pubblico di Fazio sul Nove è diverso da quello del passato: ancora più giovane e istruito, e quindi, più pregiato per gli investitori».
Dunque, il famoso terzo polo di cui da anni si parla e straparla non è un punto di arrivo.
«Il terzo polo è superato. L’obiettivo è quello di creare un ecosistema editoriale che sia sostenibile anche tra vent’anni. Nessuno riesce a immaginare come sarà la televisione tra dieci anni. Ma certamente sulla smart tv si consuma ancora il 95% dei programmi della Tv lineare».
E questo come si riflette, come si spiega, e cosa può provocare?
«Rende chiaro che parlare di terzo polo è una semplificazione fuori tempo, e che invece ci sono ancora margini di crescita sia sul fronte della Tv lineare che su quello pay e sullo streaming. Un operatore globale, come noi, si pone questi temi e poiché ha una strategia globale mette a terra tutto il suo “arsenale” per attrarre pubblico e clienti. I successi del Nove, infatti, fanno crescere l’intero portfolio della nostra offerta e non solo quella televisiva».
Urbano Cairo editore di La7 sostiene che seppur Warner Discovery ha ottenuto buoni risultati sono però la metà di quanto totalizzano loro…
«Non parliamo di La7 contro Nove. Noi abbiamo quindici canali che fanno nel complesso più del 10 per cento di share. Il Nove è una bellissima realtà ma solo una parte del nostro portafoglio. Noi non siamo giudicati per quello ma per la performance del nostro intero pacchetto di canali e mezzi. E il successo maggiore di Nove è saper trainare anche gli altri mezzi del gruppo. Nel 2015 quando abbiamo acquisito Deejay Tv (poi ribattezzato Nove) faceva lo 0, 1% di share, oggi il venerdì siamo attorno al 7% e la domenica siamo a percentuali a due cifre. Ma soprattutto non stiamo fermi. Vogliamo realizzare progetti con gradualità accelerata per costruire il futuro sulla base dei successi passati. In questo senso, possiamo avere anche la serenità di sbagliare nella consapevolezza però di guardare a progetti ampi e di essere rapidi nelle scelte».
Ma per non sbagliare cosa c’è nei progetti di Warner Discovery e come pensate di crescere ancora ammesso che sia possibile farlo in mercato come quello italiano che per anni è stato monopolizzato da Rai e Mediaset?
«Sino ad ora non c’è stato nessun nostro investimento significativo che non abbia portato risultati positivi. È possibile che nel breve e medio periodo nel sistema media ed entertainment ci saranno altri grandi consolidamenti ai quali sopravviveranno quattro, cinque soggetti globali. Noi puntiamo ad esserci e nel 2026 lanceremo anche in Italia “Max” una nuova piattaforma già attiva in USA, America Latina e alcuni Paesi europei per fare da volano allo sfruttamento di tutti i nostri contenuti: dai nostri grandi titoli del cinema, alla serie televisive di Hbo, lo sport, Cnn, i documentari e tutti i nostri show di “real life entertainment"».
L’Ad della Rai Roberto Sergio non considera Nove concorrente e non ha elogiato particolarmente la vostra offerta. Cosa ne pensa ma, soprattutto, di fronte a questi scenari cosa resterà e che ruolo avrà la Rai?
«Cerco di essere sempre rispettoso di quanto fatto dai competitor e non cambierò certo approccio ora. È giusto che non si preoccupi della concorrenza ma di quanto le scelte della tv pubblica incidano sull’industria culturale italiana. Detto questo da cittadino italiano con un minimo di conoscenza del mercato penso che tutte le tv pubbliche e anche la Rai debbano focalizzare la propria missione sul garantire nel tempo lo sviluppo e la crescita di contenuti identitari della cultura nazionale. In Europa e ancora di più in Italia rispetto agli Stati Uniti c’è una grande opportunità culturale, il senso e il peso della storia: è in questo comparto che la Tv pubblica può giocare una grande ruolo sia sul versante del racconto con i Film che su quello delle fiction e serie televisive».
Warner Discovery è da sempre vicina ai democratici Usa. È così anche in Italia?
«Nella maniera più libera possibile il nostro impegno, da sempre, è quello di costruire un modello televisivo per consegnare al pubblico gli strumenti utili per farsi il più possibile un’analisi critica di ciò che lo riguarda e lo circonda. In questo senso la vera mission è fornire informazioni per far sbocciare un’altra opinione, non solo politica ma su tutto».
Senta lei ha portato prima Crozza, poi Fazio e ora Amadeus in casa WBD: come è riuscito a convincerli?
«Quella con Crozza è stata forse la trattativa più difficile. Il Nove non era ancora affermato. Poi ha preso man mano visione del progetto e dell’investimento che volevamo fare con il suo arrivo. Il primo di una serie di progetti ambiziosi per uscire dalla nostra nicchia. Con Fabio Fazio, invece, è stata la trattativa più lunga. Avevamo iniziati a parlarci prima del Covid ma poi tutto fu rinviato e dopo la pandemia abbiamo ripreso il dialogo: siccome molte cose ce le eravamo già dette si è trovata la quadratura del cerchio abbastanza rapidamente. Mi inorgoglisce sapere che la sua non è stata una decisione “contro” (contro la Rai, la politica, il governo ndr) ma una scelta pro, a favore di qualcuno e di un nuovo grande progetto. Con Amadeus, invece, la trattativa è stata probabilmente la più breve. Ha visto il successo di chi lo ha preceduto ma credo abbia percepito la voglia di crescere della nostra azienda. Ha un’energia fuori dal comune. Il nostro è un accordo a lungo termine finalizzato a innovare la televisione». —
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