Corriere della Sera, 22 luglio 2024
I leader e la malattia
Nel 1994, cinque anni dopo aver lasciato la Casa Bianca, Ronald Reagan in una commovente lettera agli americani ammise di avere l’Alzheimer. In realtà, come avrebbe rivelato il figlio Ron, i primi segni del morbo si erano manifestati già all’inizio del secondo mandato, quando la nuova squadra di collaboratori che la moglie Nancy aveva voluto per il marito si accorse che qualcosa non andava. Sempre più spesso il presidente ricorreva all’uso di parole come «thing» o «stuff» per indicare cose di cui non ricordava il nome. Così forti erano i timori, che la notte prima di prendere servizio come nuovo capo di gabinetto, Howard Baker ricevette un memorandum segreto, nel quale un celebre giurista suo amico suggeriva di considerare l’ipotesi di ricorrere al XXV emendamento, che permette di rimuovere un presidente incapacitato.
Non se ne fece nulla. In parte perché Reagan era stato molto abile, già durante la campagna elettorale per la rielezione, a sgomberare il tema dell’età (aveva 76 anni all’epoca) esploso dopo la disastrosa performance nel primo dibattito contro il candidato democratico Walter Mondale. Quando se lo trovò di fronte per il secondo duello, Reagan esordì con una battuta rimasta agli annali: «Non intendo fare dell’età il tema di questa campagna e non approfitterò per ragioni politiche della giovane età e dell’inesperienza del mio avversario». The Gipper venne rieletto a valanga, concluse accordi storici sul disarmo, fece approvare una generosa legge sull’immigrazione che oggi verrebbe bollata come opera di terroristi antiamericani e chiuse la presidenza con un gradimento popolare del 67%.
Ma il tema rimane. Nelle ore in cui Joe Biden getta clamorosamente la spugna sul ring della più drammatica elezione presidenziale nella storia americana, la trasparenza sulla salute dei leader della Casa Bianca torna al centro dell’attenzione generale. La carica politica più potente del mondo esercita una pressione immensa su chi la ricopre, sottoponendolo a stress fisici e psicologici spesso insostenibili. Gli americani si aspettano leader forti e in salute e vogliono sapere tutto sulle loro vere condizioni fisiche e mentali. Ma, come anche il caso Biden dimostra, non sempre è stato così.
La «sete» di informazioni
Gli americani si aspettano leader forti e vogliono sapere tutto sulle loro vere condizioni fisiche e mentali. Ma non sempre è stato così
Per non risalire fino ad Abraham Lincoln, che soffriva di forti depressioni e probabilmente anche di un disordine genetico che riduce la vista e favorisce disfunzioni cardiache, malattie mai rivelate, il caso forse più clamoroso fu quello di Woodrow Wilson, presidente dal 1913 al 1921, vittima di un ictus nel 1919 che lo lasciò parzialmente paralizzato e non più in grado di esercitare la sua funzione. Fu sua moglie Edith a prendere in mano la situazione, agendo come presidente de facto per quasi due anni, mentre il Paese venne tenuto al buio fino alla fine del mandato. Se il vicepresidente Thomas Marshall non prese le redini, fu dovuto anche al fatto che allora non esisteva il XXV emendamento, ratificato solo nel 1967, e la procedura dell’articolo 2 prevedeva il cambio in caso di morte o dimissioni. Marshall voleva una risoluzione del Congresso che dichiarasse la carica vacante, che non venne mai.
Franklin D. Roosevelt, il presidente del New Deal, era stato colpito a 39 anni, nel 1921, dalla polio che lo costrinse per il resto della vita su una sedia a rotelle. Ma questo non gli impedì di seguire un cursus honorum ineguagliato nella storia americana: due volte governatore di New York e quattro volte presidente degli Stati Uniti, dal 1933 al 1945, prima che il limite dei due mandati fosse imposto per legge. Roosevelt fece di tutto per nascondere la sua disabilità e trasmettere al pubblico americano un’immagine di grande energia, inventandosi perfino un modo di «camminare» per brevi tratti, indossando sotto i pantaloni dei tutori per le gambe, usando un bastone e sostenendosi al braccio di suo figlio o di un collaboratore. Più grave fu che nel 1944, in piena campagna elettorale, egli nascose agli americani i test medici che certificavano alta pressione, coronarie intasate con ricorrenti crisi di angina, arteriosclerosi galoppante. «La salute del presidente è assolutamente ok», mentì il suo medico personale, l’Ammiraglio Ross McIntire. Roosevelt vinse il suo quarto mandato, ma un anno dopo, nel 1945, morì in seguito a una massiccia emorragia cerebrale.
Lo stress fisico e psicologico
La trasparenza sulla salute di chi guida il Paese è di nuovo centrale
E la Casa Bianca crea stress fisici
e psicologici spesso insostenibili
Anche il repubblicano Dwight Eisenhower, il generale che aveva vinto la Seconda guerra mondiale, presidente dal 1953 al 1961, nascose le sue patologie. In particolare, la gravità dell’infarto avuto nel 1955 dopo il quale alcuni cardiologi gli avevano sconsigliato di correre per la rielezione. Fu rieletto, ne ebbe un altro nel 1957, ma riuscì a portare a termine il suo secondo mandato.
Per John F. Kennedy, il più giovane presidente eletto fino a quel momento, l’immagine di vigore e vibrante vitalità, «il testimone che passa a una nuova generazione di americani», fu uno degli elementi decisivi del mito di Camelot. In realtà Kennedy lottò per tutta la vita con una incredibile serie di patologie, a cominciare dal morbo di Addison, una insufficienza surrenalica cronica, che lo costringeva ad assumere quantità industriali di cortisone e altre medicine. Un incidente di guerra, inoltre lo condannò per tutta la vita ad atroci mal di schiena, che lui teneva a bada con forti dosi di antidolorifici.