il Fatto Quotidiano, 22 luglio 2024
Il giornale dei gatti
I micioni che compaiono scrollando sui social sono a volte un po’ scemi e altre assai svegli ma, in generale, sempre pucciosi, da prendere a bacini su quei bei “Musetti animaletti” – nomen omen di una delle pagina a tema animali più seguite su Instagram, quasi 700mila follower conquistati grazie a foto e video di creaturine domestiche nelle loro pose più tenere, dunque cani ma soprattutto gatti. Così però, oltre a ridurre tutto a un cuoricino o meno da lasciare, il filtro social finisce per omettere il rapporto fra umano e animale, aspetto affascinante specie quando si parla di gatti, forse l’essere vivente più misterioso della Terra. È sull’idea di questo legame quasi insondabile che nel 1974 Piet Schreuders, graphic designer di Amsterdam, ha fondato The Poezenkrant, traducibile dall’olandese come “Il giornale dei gatti”, gioiellino editoriale da 70 numeri pubblicati con cadenza irregolare, tutti ideati e spediti a mano da Schreuders stesso. Dapprima l’idea era più che altro una domanda: come potrebbe essere un giornale scritto da felini? Qualcosa di satirico, più che surreale. La notizia d’apertura del primo numero, spedito a una dozzina di amici, era sulla terapia con cui il creatore della rivista aveva curato i calcoli renali del proprio micio. Da lì a poco cominciò un passaparola che portò il designer a ricevere migliaia di richieste d’abbonamento, a cui seguirono altrettanti contributi spontanei dei lettori: disegni, foto, racconti.
«Ero rimasto colpito da come le persone che parlano dei gatti utilizzino un linguaggio speciale, inventato da loro ma riservato solo ai propri mici. Qualcosa di ironico e amorevole, con dettagli privati che normalmente non si rivelano» aveva detto qualche tempo fa Schreuders al quotidiano olandese NRC. Ed è così che già dopo il primo numero, Poezenkrant ha cominciato a essere una comunità allargata, coi lettori coinvolti nella realizzazione della rivista attraverso decine di contributi inviati ogni giorno alla casella postale del suo ideatore. Persone comuni, ma anche intellettuali olandesi come W. F. Hermans (autore del romanzo capolavoro La camera oscura di Damocle, edito in Italia da Iperborea), con scritti che andavano dalla routine dei gatti domestici durante la Seconda guerra mondiale, fino ad approfondimenti per passioni tutte feline, tipo quella di far esplodere, con un certo compiacimento, le millebolle utilizzate per gli imballaggi.
L’ironia di Poezenkrant non sta però solo nei suoi contenuti, ma anche nel layout, diverso da numero in numero. Ci sono casi in cui viene ripresa la seriosa impaginazione del Wall Street Journal, altri che richiamano l’edizione economica dei classici Penguin, oppure numeri che utilizzano l’estetica glitterata delle riviste di gossip per adolescenti – “Quale gatto assomiglia di più a Steve Buscemi?”, si legge nella copertina della 67esima uscita, una domanda che ogni micio in pubertà si sarà fatto almeno una volta.
Lo scorso 7 febbraio, a 50 anni esatti dal prima apparizione, è stato pubblicato il 70esimo numero di Poezenkrant. In copertina c’è un gatto ricamato, con accanto la scritta “ultimo numero”. Schreuders ha infatti annunciato la chiusura definitiva della rivista, «perché vorrei dedicarmi ad altri progetti, ma soprattutto perché non riesco a stare dietro al carico di lavoro». Dopotutto «internet è ormai intasata di gatti». La fortuna è che si tratta di una rivista che non invecchia, con storie che resistono al tempo. E il motivo di questa sua eternità è spiegato dallo stesso Schreuders nella prefazione del libro pubblicato nel 2004, che raccoglie i numeri dall’1 al 49-bis: «Se Poezenkrant ha una filosofia, è questa: le persone non contano. Se si guardano le attività umane dal punto di vista dei gatti, degli uomini rimane ben poco».