la Repubblica, 22 luglio 2024
Intervista a Andy Summers
“Un disco di superfici abbaglianti e di ombre glaciali”. Per la stampa mondiale, nel 1984, Synchronicity dei Police era un album folgorante.
Vendette quindici milioni di copie e conquistò tre Grammy. Fu l’ultimo disco inciso insieme da Sting, Stewart Copeland e Andy Summers.
Per festeggiare il quarantennale, il 26 uscirà un cofanetto deluxe con 6 cd, 55 brani mai ascoltati, versioni demo e alternative, pezzi live e altre curiosità. Andy Summers, classe 1942, era l’inventore di quel suono di chitarra che divenne un marchio di fabbrica dei Police. Parlando di quella incredibile (e breve) avventura, smentisce con forza i litigi all’interno del gruppo e le ambizioni da leader di Sting, di cui le cronache sono in realtà piene. Li definisce «immondizie della stampa, sempre pronta ad amplificare qualunque storia», poi risponde con un secco e irritato «no, non è vero» quando si cita una recente intervista in cui Copeland ha dichiarato che la decisione di ripubblicare è arrivata dopo la visione del documentarioGet Back dei Beatles.
Dunque non è vero che nella vita privata eravate amicissimi e in studio litigavate di brutto?
«Tutti noi, qualunque cosa facciamo nella vita, cerchiamo di essere i migliori, di farla al massimo delle possibilità. Noi ci provavamo.
Volevamo diventare un gruppo migliore, pensavamo che il nostro modo di suonare ci rendesse diversi da tutti. Abbiamo preso decisioni consapevoli per un obiettivo molto difficile da realizzare».
Ha detto che “Reggatta de Blanc” è il suo disco preferito dei Police. È vero che “Walking on the moon” è stata scritta dopo che Sting girava ubriaco nella sua stanza d’albergo?
«Probabilmente sì. Eravamo in Germania la prima volta che l’ho sentita. Era mattina presto, ho pensato subito che potesse diventare un brano popolare. È una canzone semplice, in un certo senso leggera. A me, che ero il più rigoroso del gruppo, non faceva impazzire ma è stato un successo gigantesco».
Ha raccontato di aver ascoltato Sting mentre strimpellava i primi accordi di “Roxanne” quando era suo ospite, ai tempi dei vostri inizi...
«È vero, per un periodo Sting ai tempi dei nostri inizi alloggiava a casa mia a Londra, non ricordo la situazione, era in una stanza vicina alla mia quando con mia mogliel’abbiamo sentito cantare. Lei si è girata verso di me e ha esclamato “è davvero bella”».
È vero che l’avevate arrangiata come una bossa nova ma, essendo i tempi del punk, avete scelto un arrangiamento reggae?
«In effetti era una bossa nova molto bella, non aveva gli accordi standard delle canzoni pop. Venne in mente a Sting durante un nostro soggiorno a Parigi, andò a fare un giro nella zona del Moulin Rouge, il che regala un certo romanticismo al brano. Ma la bossa nova non funzionava nel nostro progetto, serviva qualcosa di più potente».
Tornando a “Synchronicity”, l’album è pieno di riferimenti alla psicologia o a libri famosi, da Orwell a Jung.
«Andavo da uno psicologo junghiano e in quel periodo leggevo molti libri sull’inconscio. Proprio Jung definisce il termine synchronicity come “un principio di connessione causale”, o qualcosa del genere. Il titolo del disco viene da lì. Più in generale, eravamo studenti universitari di estrazione alta, io avevo frequentato il college in California, condividevamo qualcosa di più del normale background di una rock band e questo ci rendeva diversi dagli altri gruppi. E un cantante fantastico che non usava il vibrato ci dava un suono diverso da tutto. In quel momento gli dei erano con noi, lo sono stati per tutto il tempo che ho passato con la band. Il momento era quello giusto, avevamo tutti l’età perfetta per affrontare quell’avventura ed è stato quasi un fatto magico che queste cose si siano allineate perfettamente. Ma dovevamo ancora lottare per diventare popolari, ci è voluto un anno prima di trovare una nostra dimensione».
Sting ora si esibisce con un trio: c’è qualche speranza di vedervi suonare di nuovo insieme?
«La speranza c’è sempre, la mia porta è aperta, ma non posso vivere nel pensiero che la band torni insieme, sono troppo interessato a quello che sto facendo, cerco sempre di essere un musicista creativo».
Come in quel disco, che guardava al futuro.
«Sì, abbiamo dominato le scene per otto anni. Il mondo era in fiamme per noi, un po’ come per i Beatles: abbiamo toccato quel livello di isteria».