la Repubblica, 21 luglio 2024
Gaza, Yemen e Libano Le tre guerre di Israele contro la piovra iraniana
L’Iran ha molti tentacoli. A Gaza voi ne state affrontando uno, noi stiamo combattendo gli altri in posti diversi e ciò richiede il massimo sforzo contro ogni singolo tentacolo». Incontrando i soldati schierati nella Striscia, il generale Herzi Halevi ha presentato così la lotta globale di Israele: dopo 290 giorni di battaglie, il raid contro il porto yemenita di Hodeida ha aperto un quarto fronte e reso le prospettive della guerra ancora più lunghe.
Se è indubbio il ruolo di Teheran nell’alimentare gli attacchi, allungando la morsa su più lati proprio come la piovra descritta dal capo di Stato maggiore delle Israeli Defence Forces,la realtà del conflitto è addirittura più complessa, perché ogni nemico persegue obiettivi e logiche diverse, spesso autonome rispetto alla regia degli ayatollah. Israele ha davanti una sfida mai vissuta prima nella sua storia bellica, caratterizzata sempre da campagne di breve durata e da un sostegno netto dei suoi alleati a partire dagli Stati Uniti: la guerra aperta dai massacri jihadisti del 7 ottobre mette alla prova le capacità non solo delle forze armate ma dell’intero Paese. Obiettivi e strategie militari restano però indefiniti, l’unica certezza è una mobilitazione di fuoco che non conosce pause.
Nella Striscia le operazioni vanno avanti mentre le trattative per la tregua e il rilascio degli ostaggi sono in una fase confusa. L’esercito porta avanti i rastrellamenti contro Hamas nell’area di Rafah ma interviene continuamente nei centri urbani già setacciati: il sanguinoso raid contro Mohammed Deif, il responsabile militare della formazione terroristica, mostra come non esistano zone franche per la popolazione palestinese. La struttura di Hamas ha subito colpi terribili, ma non è stata cancellata: il leader Yahya Sinwar resta libero e una parte rilevante dei cunicoli non è stata distrutta, anche per paura di colpire gli ostaggi. A oltre nove mesi dall’ingresso delle truppe israeliane non esiste un piano per il futuro della Striscia che impediscaai miliziani di riorganizzarsi traendo nuove reclute dall’abisso di odio e distruzione.
Per questo una quota consistente delle risorse belliche israeliane resta focalizzata sul Fronte Sud: una media di sei brigate, con punte di nove, assieme alle migliori risorse dell’intelligence e dell’aviazione. Una situazione che rende ancora più difficile ogni decisione sul confine libanese. Lì il duello con Hezbollah diventa ogni giorno più serrato e violento: in qualsiasi momento può trasformarsi in guerra aperta. Il quartiere generale delle Idf vorrebbe evitare di ritrovarsi in un doppio conflitto terrestre ma teme il prolungamento delle ostilità: i suoi soldati sono quasi tutti riservisti e l’esperienza di Gaza ha reso chiaro che possono combattere al massimo per due-tre mesi.
Hezbollah è un avversario molto più potente di Hamas e lo sta dimostrando. Ha un arsenale missilistico sterminato; ha elaborato tattiche innovative ed efficaci; ha almeno diecimila veterani della Siria, ben equipaggiati e votati al martirio. Se però a Gaza gli israeliani, colti di sorpresa, non avevano un piano per l’offensiva né informazioni aggiornate, su questo fronte si preparano da almeno otto anni. Hanno reparti specializzati, mappe delle gallerie sotterranee e conoscono gli organigrammi dell’armata sciita. Da mesi mettono a segno omicidi mirati contro gli uomini chiave e raid sulle installazioni più importanti. C’è inoltre un elemento di deterrenza: mentre Sinwar si fa scudo della popolazione e usa il dramma della Striscia come strumento politico; Nasrallah ha sempre tutelato il consenso della comunità sciita e dell’intero Libano. Il leader supremo di Hezbollah prende seriamente la minaccia di fare «il copia-incolla di Gaza da Beirut fino alla frontiera» pronunciata dal ministro della Difesa Gallant.
Argomenti che non funzionano con gli Houti. IlTimes of Israel ha riportato le «valutazioni private» dei vertici di Idf sul fatto che i miliziani yemeniti «non appaiono sensibili alla deterrenza». Fa parte della tradizione secolare di quelle tribù ostinate, che lottano come se non ci fosse un domani e sfoggiano competenze tecniche inattese. I sauditi lo hanno imparato a loro spese negli anni della guerra civile e neppure le portaerei statunitensi riescono a fermarli. Gli Houti stanno condizionando il commercio globale con l’Asia e hanno di fatto chiuso l’unico porto israeliano sul Mar Rosso. In solidarietà con i palestinesi, hanno lanciato 220 missili e droni contro lo Stato ebraico con attacchi di crescente sofisticazione: l’ordigno che ha colpito Tel Aviv ha sorvolato l’Egitto, ingannando gli ufficiali delle Idf. Il bombardamento di Hodeida è stata una missione straordinaria, la più distante mai realizzata dai caccia con la Stella di Davide. Ma, come si capisce dai missili di rappresaglia intercettati ieri, non li farà desistere dai loro disegni e gestire operazioni sistematiche 1800 chilometri dalle basi per stroncare i rifornimenti dei Guardiani della Rivoluzione è veramente complesso.
E veniamo alla testa della piovra. Dopo lo sciame notturno di droni e missili dello scorso 13 aprile, Teheran ha evitato sfide dirette con Israele. Ha però moltiplicato le consegne di armi evolute, frutto pure dei suggerimenti russi, agli Houti e cerca di trasferirle ad Hezbollah. Questa resta la partita decisiva, legata in buona parte al futuro della Casa Bianca: Biden ha fatto di tutto per limitare lo scontro, con Trump anche qui le cose potrebbero cambiare.