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 2024  luglio 21 Domenica calendario

Intervista a Gianfranco Zoppas

Zoppas li fa e nessuno li distrugge. Nulla sembra scalfire Gianfranco Zoppas, 81 anni, monumento vivente del capitalismo nato nel Veneto che usciva dalla povertà. «Il motto di mio padre era “guarda e impara”. E così abbiamo fatto per una vita intera, abbiamo guardato i migliori e abbiamo imparato da loro. La zeta gotica del logo “3oppas” era una lettera dell’alfabeto tedesco, perché la Germania era sinonimo di qualità, solidità, forza». Biografie di uomini che si sovrappongono alla storia economica d’Italia, interi capitoli di una vita scritti insieme a chi ha determinato le sorti del Paese. La prima lavatrice, la prima cucina a gas, la competizione con i pordenonesi della Zanussi, l’avvocato Gianni Agnelli che entra in gioco per sistemare le cose. Quante ne ha viste quest’uomo che, invece di godersi la meritata pensione, siede ancora nel suo ufficio.
Gianfranco Zoppas, davvero scese in Veneto l’avvocato Agnelli per trattare il caso Zoppas-Zanussi?
«Certo, lui e Cesare Romiti, con la copertura finanziaria di Mediobanca».
Ma quale era l’obiettivo?
«La Zoppas in crisi era stata assorbita dalla Zanussi ma questa nuova realtà con migliaia di dipendenti era entrata nuovamente in difficoltà.
C’erano debiti con 120 banche.
Troppe famiglie rischiavano di rimanere senza reddito. Agnelli mi chiese di partecipare alla ristrutturazione».
Come l’aiutò?
«Delineammo una strategia di salvataggio di cui fui l’esecutore e mi mise in contatto con Mediobanca. Fu un grosso sforzo ma riuscimmo a sistemare le cose e a presentarci in ordine all’appuntamento con Electrolux, che rilevò l’attività nel 1984».
Che ricordo ha dell’Avvocato?
«Era una persona affabile, con una visione pratica delle cose».
Con Zanussi lei andò ben oltre la joint venture aziendale: nel 1970 sposò la figlia Antonia. L’unione sentimentale dei rampolli delle due famiglie dell’elettrodomestico.
Come andò?
«Loro abitavano a Pordenone, noi a Conegliano. Poi ci incontravamo a Jesolo e Cortina. Le famiglie erano acerrime concorrenti, ma i figli poi sono un’altra cosa. E anche Lino Zanussi, alla fine, tra tutti gli amici che giravano intorno alla figlia, ritenne che io fossi il più serio».
Il 18 giugno 1968 sui cieli della Spagna ci fu l’incidente aereo in cui morirono Zanussi e il suo staff. Cosa successe dopo?
«Quando lui morì, Antonia, mia fidanzata, diede valore a quello che suo padre le aveva detto. E, dopo qualche tempo, ci sposammo».
Zoppas li fa e nessuno li distrugge: chi ha inventato questo
slogan pubblicitario?
«Non ricordo ma c’era mio padre Gino al timone, lui era sempre alla ricerca di novità. Girava il mondo per questo. Di certo lo spot attirò molto l’attenzione e diede al marchio Zoppas un’immagine di grande solidità».
Nell’era dell’obsolescenza programmata avrebbe ancora senso uno spot del genere?
«No. Oggi magari avrebbe più successo dire: Zoppas li fa e tu non devi fare altro (sorride)».
Tornando a quando era bambino, qual è il suo primo
ricordo?
«Torno a casa dal collegio e passeggio attraverso le linee di montaggio dell’azienda, scherzando con gli operai. Era lì, in quel contesto, che si assorbivano idee e mentalità».
È stato difficile essere figlio di un uomo come suo padre?
«Sì, molto. Diceva sempre: interessati, fai, vedi. Ma non mi diceva come fare. Morì nel 1970, Zanussi nel 1968. Rimanemmo io, le mie due sorelle e i miei due fratelli.
Dal ‘70 in poi ci siamo dovuti arrangiare».
C’è qualcosa che ha creato con le
sue mani di cui va fiero?
«Nel 1963 scesi in Puglia con un ispettore della Zoppas e fui invitato in un trullo. Si scaldavano con un braciere. La padrona di casa disse che avrebbe voluto che quel braciere la seguisse nei vari angoli della casa.
Così mi inventai una stufetta con le ruote, ancora oggi la tengo nel mio ufficio».
È contento di ciò che ha realizzato nella sua vita?
«Il mio sogno era superare, anche di poco, tutto ciò che mio padre aveva fatto e mi aveva lasciato. Volevamo espanderci e ci siamo riusciti, abbiamo aperto succursali in Cina, Romania, Messico».
Lei ha vissuto la crescita del Nordest. Qual è stato il momento più difficile?
«Quello delle lotte operaie. La nostra abitazione a Conegliano Veneto era circondata dagli stabilimenti. Per uscire di casa o rientrare dovevamo superare i posti di blocco dei sindacati. A volte gli operai invadevano anche gli uffici».
Chi è Gianfranco Zoppas oggi?
«Sono come un pastore che indirizza il gregge, sempre disponibile al dialogo, fungo da stimolo. Sono molto attento alle strategie, ai programmi di crescita e ovviamente ai costi. Finché non mi cacciano, io resto a lavorare».
Ha abbandonato il ramo degli elettrodomestici, di cosa si occupa ora?
«Sono il fondatore di Irca e Sipa, aziende del gruppo di famiglia. La prima realizza resistenze e sistemi riscaldanti per l’industria meccanica, la seconda stampi e contenitori in Pet per bevande, alimenti, detergenza, cosmetica e farmaceutica.
Quest’anno superiamo il miliardo di fatturato».
E nella vita privata?
«Vivo da 25 anni con la mia seconda moglie, Vittoria “Vitti” Feria Contin. E poi ho i miei figli, Matteo e Federico che mi hanno dato cinque nipoti».
Un amico che le va di citare?
«Ho tanti cari amici ma cito un altro imprenditore: Bepi De Longhi».
Tracciando un bilancio, è felice?
«La felicità si misura con la distanza che c’è tra quello che sei e quello che vorresti essere. Quindi, a 81 anni, mi sento di dire che è sempre meglio scegliere desideri e obiettivi alla nostra portata».