Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  luglio 21 Domenica calendario

Intervista a un Guido Crosetto incazzato con Stoltenberg (e non solo)

Quando arriva il momento di parlare della decisione del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg di affidare alla Spagna il nuovo ruolo di inviato per il Fronte Sud, il ministro della Difesa Guido Crosetto cambia tono di voce. Si fa più alto, scandisce ogni parola: «Lo considero quasi un affronto personale». Supera invece con un balzo il dibattito italiano intorno al voto sfavorevole di FdI a Ursula von der Leyen: «Discussioni provinciali, sbagliate e incomprensibili». E con lo stesso piglio affronta le posizioni di chi, come i Cinque stelle o la Lega, polemizzano sulle armi a Kiev: «Non ho voglia di discutere con chi affronta in modo superficiale questioni serie come la guerra». Invece, sulla scelta del segretario della Nato, si sofferma a lungo. C’è «una profonda delusione» da affrontare.
Ne ha parlato con Stoltenberg?
«Gli ho scritto un messaggio durissimo. Mi ha fatto infuriare e ci saranno conseguenze sul piano dei rapporti personali. Il suo è stato il tradimento di un principio: era l’Italia a essersi battuta per introdurre il ruolo di inviato per il Fronte Sud. E al summit di Washington 32 leader ci hanno dato ragione. Tra vent’anni i due miliardi e mezzo di persone in Africa saranno il principale problema dell’Alleanza atlantica perché diventeranno un esercito nelle mani di quei Paesi che hanno già iniziato a occupare il continente in questi anni: Russia e Cina».
Si è fatto un’idea del motivo per cui invece è andato alla Spagna?
«Stoltenberg non voleva nominare un rappresentante a Sud. Ha dovuto metterlo nella risoluzione perché lo voleva l’Italia e così si è vendicato, dando il ruolo a uno spagnolo, un funzionario spagnolo che fa già un altro lavoro, di fatto svuotando l’obiettivo politico da noi perseguito e approvato al vertice Nato: lo trovo pessimo come comportamento. Ha concluso i suoi 9 anni alla guida della Nato nel modo peggiore».
L’Italia da oggi ha un problema con la Nato?
«No, ha un problema, oggi, con Stoltenberg. È lui l’unico responsabile, lui ha scelto la persona per quel ruolo, basandosi su criteri opachi e logiche burocratiche interne, senza consultarsi con gli alleati, forse perché guidato da logiche di appartenenza politica, venendo meno alla prima delle sue responsabilità: essere super partes. Questo non è nemmeno l’unico caso. Ultimamente, da parte sua, ho assistito a una serie di promozioni, nuovi incarichi, uffici e responsabilità, tutti arrivati a pochi mesi dalla scadenza del mandato. Sembra la sfilata dei “nobili della scaletta”, quella schiera di conti e marchesi nominati in Italia quando il Regno dei Savoia era agli sgoccioli. Un esempio del peggior nepotismo».
Si aspetta che a ottobre, dopo l’addio di Stoltenberg, quel ruolo venga riassegnato all’Italia?
«Mi auguro che venga dato alla persona migliore, non in base a logiche burocratiche interne e non per simpatia politica. E mi aspetto che si tenga conto di chi ha fortemente voluto l’istituzione di questo ruolo: l’Italia».
Sul fronte Nato, per l’Italia resta il problema del raggiungimento del 2% di spese militari in rapporto al Pil.
«È un tema che si lega a doppio filo con la prossima Commissione europea. Dovremo fare una battaglia per scorporare le spese della Difesa dal patto di Stabilità. Mi sembra di aver sentito un accenno a questo tema nel discorso di Ursula von der Leyen. Per noi si può anche iniziare con uno scorporo provvisorio e poi di anno in anno rinnovarlo; l’importante in questo momento è partire».
Eppure Fratelli d’Italia ha votato contro il bis alla presidenza di von der Leyen. Che utilità ha?
«Non è una questione di utilità. Von der Leyen sapeva che con quel suo discorso non avrebbe ottenuto i nostri voti, ma guadagnato quelli di Ppe, S&D, Liberali e Verdi, sufficienti a una sua rielezione. Le discussioni di questi giorni mi sembrano campate in aria: si affronta il voto per la presidenza della Commissione europea come se si stesse parlando della Presidenza del consiglio italiana, mentre sono due realtà con meccanismi molto diversi».
Salvini lo definisce “un inciucio” e attacca Forza Italia che ha votato insieme a Verdi e Socialisti. Che ne pensa?
«Ha usato termini e argomenti più adatti a commentare le elezioni italiane. Sono polemiche che, se guardate invece in ottica europea, non hanno senso perché il voto nel Parlamento Ue ha un significato politico diverso rispetto al voto di fiducia nel Parlamento italiano».
Non vede nessuna incrinatura, tra Meloni e von der Leyen, che pregiudichi le trattative per la scelta del prossimo commissario europeo?
«Assolutamente no, né con Italia né tanto meno tra Giorgia e von der Leyen».
Più utile all’Italia un commissario al Mediterraneo, magari con delega alle migrazioni, o un portafoglio economico?
«Dal mio punto di vista, meglio un portafoglio economico che ci dia poi la possibilità di interloquire anche su altri dossier di interesse, tra cui Mediterraneo e migrazioni».
L’Europa ha dato un messaggio di continuità alle sue istituzioni. Se Donald Trump diventerà presidente degli Usa cambieranno invece le prospettive per l’Ucraina?
«Dico da tempo che dobbiamo tenere conto del possibile cambiamento della posizione americana. Ma, come al solito, in Europa e nella Nato, i problemi non vengono gestiti prima che nascano, ma solo dopo che sono esplosi. Credo che Trump cambierà la linea, cercherà di ottenere la pace riprendendo un dialogo personale con Putin per chiudere in fretta e questo può essere un problema».
Per quale motivo?
«Perché sono importanti le regole con cui gli Stati devono confrontarsi: se il diritto internazionale viene messo da parte, prevale il diritto del più forte. Vale per l’Ucraina come per Israele. Di fronte a dei territori occupati con i carri armati non si può chiudere la guerra cristallizzando i confini per archiviare rapidamente il problema. Sarebbe una via facile per trovare la pace, ma la giustizia è un’altra cosa. E con Trump non cambierebbe solo questo».
A cosa si riferisce?
«Per Trump il raggiungimento del 2% di spese militari in rapporto al Pil diventerà un criterio con cui giudicherà ogni alleato. Ci dirà “difendetevi da soli”, come iniziò a dire già Obama nel 2009. Lui lo farà con più forza. E chi giudica sbagliati gli investimenti nella Difesa, vuol dire che pensa che l’Italia non debba difendersi, ma mettersi nelle mani di altri per essere difesa, rinunciando così alla sua sovranità».
La Lega intanto critica l’invio di aiuti militari all’Ucraina. Sostiene che i Samp-T non siano armi difensive. È un problema?
«I Samp-T sono armi difensive. Se qualcuno dice il contrario, gli suggerisco di informarsi. E mi disgusta vedere politici come Giuseppe Conte sostenere una cosa quando sono al governo e il suo esatto contrario quando sono all’opposizione. Non ho tempo di discutere con chi rincorre gli umori delle piazze, con gente che dedica 2 minuti al giorno per parlare di cose serie come la guerra in Ucraina e si posiziona a seconda dei like sui social che vuole prendere. Di qualunque partito siano – del mio, dei Cinque stelle, della Lega o di altri – guardo certe persone con distacco e disprezzo».
È sempre dell’idea che il prossimo decreto armi si possa desecretare?
«Si può fare. Sarebbero però desecretati in buona parte, non interamente, perché non possiamo dare un vantaggio ai russi».