Corriere della Sera, 21 luglio 2024
Le opinioni degli italiani sull’autonomia differenziata
I l tema del rafforzamento delle autonomie regionali è presente nel dibattito politico da almeno un trentennio. È stato spesso visto come un tema tipico del Nord del Paese, con le venature secessioniste impresse dalla Lega. Ma è stato anche un tema importante per il centrosinistra, con venature più federaliste. Centrosinistra che arriva nel 2001 ad una riforma (per molti versi problematica) che riconosce alle regioni un’ampia autonomia. Il mese scorso il centrodestra ha approvato la riforma detta della «autonomia differenziata» che stabilisce gli iter e le modalità attraverso le quali le regioni potranno chiedere maggiore autonomia nella gestione di diverse materie (fino a 23). Rispetto a questa proposta il dibattito fa emergere divisioni profonde: i sostenitori, prevalentemente di centrodestra, ritengono che questa riforma permetterà un miglioramento dei servizi e aumenterà l’efficienza della spesa; i critici, prevalentemente di centrosinistra, pensano al contrario che si amplificheranno le disuguaglianze territoriali e peggioreranno i servizi delle regioni meno ricche, prevalentemente del Sud. Le posizioni sono più articolate, qui abbiamo cercato di riassumere alcune delle argomentazioni di fondo.
Che cosa pensano gli italiani di questa riforma? Prima di tutto occorre dire che i nostri connazionali ne sanno poco: solo il 16% si dichiara infatti adeguatamente informato, mentre 29% ha avuto modo di ascoltare qualche notizia e il restante 55% ne ha sentito parlare senza saper bene di cosa si tratti o è all’oscuro del tema. Dal punto di vista territoriale non emergono differenze rilevanti, mentre gli elettori Pd e delle altre liste minori (in cui vi è una consistente presenza di elettori di sinistra e dell’ex terzo polo) evidenziano un livello di conoscenza del tema apprezzabilmente più elevato della media.
Rispetto alle principali valutazioni positive della riforma, il 47% condivide la tesi che l’autonomia differenziata consentirebbe di trattenere le imposte dei residenti sul proprio territorio, responsabilizzando maggiormente gli amministratori locali, mentre il 41% è d’accordo con l’affermazione che l’autonomia differenziata produrrebbe un risparmio per l’intero sistema regionale, poiché non si baserebbe più sulla spesa storica (che favorisce chi spende di più), ma introdurrebbe uno standard comune di riferimento. I contrari a queste due tesi sono rispettivamente il 28% e il 30%. Invece, riguardo alle valutazioni negative, il 49% pensa che l’autonomia differenziata disarticolerebbe servizi e infrastrutture che dovrebbero invece mantenere una dimensione unica nazionale (come sanità, istruzione, trasporti) mentre il 50% ritiene che la riforma sancirebbe, quando non aggraverebbe, le profonde differenze economiche, politiche e sociali che già ci sono fra le regioni. Il disaccordo con queste due affermazioni si colloca al 27% in entrambi i casi. Prevalgono quindi, sia pur in maniera non dirompente, le opinioni critiche sulla proposta di autonomia. È interessante notare che nel Meridione l’elettorato è più critico come era lecito aspettarsi (pur se non distruttivo), ma che anche nel Nord del Paese si manifestano consistenti perplessità sulla riforma. E anche rispetto agli orientamenti politici le posizioni non sono granitiche: certo gli elettori di opposizione sono decisamente critici, ma quote che vanno da un quarto a oltre il 40% ne condividono gli aspetti positivi, mentre tra gli elettori di centrodestra, pur approvandone fortemente gli aspetti positivi, le perplessità, cioè la condivisione degli aspetti negativi, è addirittura più forte: oltre il 40% con punte di oltre il 50% sottolinea i rischi impliciti nella riforma. Insomma, possiamo dire che le perplessità ci sono da entrambe le parti, ma sono più consistenti tra chi la riforma dovrebbe sostenerla.
Le opposizioni hanno avviato la raccolta di firme per un referendum abrogativo della proposta. Il tema che si pone è quello della partecipazione: per essere valido deve vedere la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto. Oggi solo un terzo sembra essere deciso a partecipare all’eventuale consultazione, mentre il 26% non lo esclude ma è incerto. Con questi numeri, per la nostra esperienza, la partecipazione è ancora lontana dalla soglia. Infine, se si votasse, attualmente prevarrebbero coloro che intendono respingere la legge: se riportiamo i dati ai voti validi (escludendo quindi gli indecisi), il 58% si schiera per l’abrogazione, 42% per la conferma.
È certamente troppo presto per dire qualcosa di solido sul voto referendario. Per ora possiamo affermare che l’attenzione sul tema non cresce rispetto a quanto registrato nel febbraio scorso e che le perplessità sono diffuse. E in parte trasversali. Sembra necessario, per il governo, trovare argomenti più convincenti, anche per il Sud, e soprattutto, crediamo, l’individuazione di parametri praticabili e finanziariamente sostenibili che assicurino uniformità sul territorio.