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 2024  luglio 20 Sabato calendario

Intervista a Michael Cunningham e Marc Ribot


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ichael Cunningham ha vinto il premio Pulitzer per la letteratura nel 1999 per il romanzo Le ore (La nave di Teseo). Raccontava la storia di Virginia Woolf e di altre donne, in altri tempi ma legate, indirettamente, alla grande scrittrice. Ne fu tratto anche un film di grande successo, The Hours di Stephen Daldry, con Nicole Kidman, Meryl Streep e Julianne Moore. Cunningham ha appena pubblicato il romanzo Day (traduzione di Carlo Prosperi, La nave di Teseo, pagg. 320, euro 22): racconta il 5 aprile di tre anni diversi, dal 2019 al 2021, nella vita di una famiglia allargata. Al centro, la pandemia da Covid, e le nostre reazioni più personali a quell’evento. Marc Ribot è uno dei più grandi musicisti viventi. La sua chitarra tormentata e rumorosa è stata al servizio di assi come Tom Waits e John Zorn. La sua carriera solista è altrettanto valida e interessante. L’ultimo disco si intitola Connection ed è realizzato con i Ceramic Dog, la sua band storica. In questi giorni è in Italia con un’altra formazione: i Jazz-Bins (Greg Lewis, una leggenda, all’organo e il percussionista Joe Dyson). Giovedì sera, il pubblico della Milanesiana, rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, ha potuto godere di uno straordinario doppio appuntamento a Villa Pallavicino (Busseto, Parma). Cunningham ha proposto una splendida lettura, insieme divertente e inquietante, su un artista che pratica l’automutilazione prima di donarsi agli altri (facendosi mutilare). Poi è arrivato Ribot con i suoi Jazz-Bins per un’ora di torridi soul e funk. Tutto inedito: il racconto di Cunningham ma anche il concerto di Ribot. I Jazz-Bins suonano insieme dalla fine degli anni Settanta ma non hanno mai inciso nulla. In questa occasione, abbiamo potuto intervistarli insieme. Due neyworchesi nell’afa della pianura padana...Viviamo in tempi estremamente violenti. Ci sono le guerre in Ucraina e Israele. Negli Stati Uniti, un cecchino ha cercato di uccidere il candidato alle presidenziali Donald Trump. La prima domanda, quindi, è quasi obbligata.
Come vivete, da artisti, l’impegno politico? Cosa pensate del clima di violenza verbale nei social media, della delegittimazione reciproca e continua? 
Cunningham: «Io sono molto interessato alla politica, e credo si capisca bene dai miei romanzi, incluso Day. Però penso che la mia funzione di scrittore di romanzi sia quella di raccontare le storie. Gli scrittori di fiction sono dei testimoni della storia quindi la mia funzione è quella di osservare e descrivere com’era la vita in quel periodo, in quel luogo. Faccio un esempio: è stata molto infelice la decisione di Napoleone di invadere Mosca. Durante la ritirata migliaia di soldati francesi sono deceduti. Quindi c’è Napoleone, ci sono questi personaggi della storia. La mia funzione è immaginare cosa poteva significare essere quel soldato che stava per morire assiderato e però pensava: ce la farò. Ma non ce la farà. La mia funzione non è descrivere Napoleone e come ha incasinato tutto con la sua decisione di invadere Mosca bensì evidenziare il valore del singolo soldato, in questo caso di quello specifico soldato, e conoscere la sua storia, la sua vita. Fino a quando potremo fare arte, fino a quando potremo avere queste conversazioni, fino a quando potremo essere qui insieme non tutto è perduto».
Ribot: «È facile parlare di attivismo, ma la pratica quotidiana non è sempre piacevole. Mi chiedo: come si fa a combattere il nemico senza trasformarsi nel nemico stesso, senza diventare uguale a lui? Non è facile dare una risposta. Però è una domanda importante da porsi. Non sono sicuro di sapere se sia possibile o meno combattere una buona battaglia e vincerla, ma sicuramente è importante essere una brava persona, perlomeno possiamo imparare a... morire bene. Spero che gli Stati Uniti non diventino un regime».
Perché la chitarra è sempre associata alla tristezza e alla disperazione?
Ribot: «Credo sia perché, le chitarre, soprattutto quelle acustiche, hanno note che non si sostengono a lungo, cioè svaniscono rapidamente. Questo a pensarci è deprimente, comunque ti ricorda tutte le cose che svaniscono rapidamente nella nostra vita. Non tutti gli strumenti hanno questo aspetto, per esempio nel sax se adotti il respiro circolare praticamente ti puoi addormentare suonando. Le note di un organo durano nel tempo. Nel caso della chitarra le note muoiono, svaniscono alla svelta. Ecco perché hanno inventato la chitarra elettrica, con gli effetti si può lavorare su questo aspetto. Ma la chitarra resta uno strumento fragile le cui note muoiono velocemente».
New York è inscindibile dai vostri lavori. Che cosa dà e cosa toglie una città come New York?
Ribot: «Vorrei suonare come un quadro di Basquiat e Warhol, spero di esserne capace. Questo mi dà, e insieme mi toglie, una città come New York». 
Cunningham: «Vivere a New York dà la sensazione che deve aver avuto chi ha sposato Maria Callas. Un minuto prima ti dici: non posso credere che una persona simile sia innamorata di me e viva con me; e il minuto dopo dici: ma questa è completamente pazza. Ecco, vivere a New è esattamente questo. Ci sono tanti altri posti in cui si può vivere tranquillamente. Di New York mi piace il fatto che è impossibile restare a casa troppo a lungo e che si incontra gente di ogni tipo. In Washington Square Park, vicino a casa mia, probabilmente vedrete un uomo vestito con le borse di plastica, che indossa tre parrucche, che urla Marilyn Monroe è ancora viva, la trovate a casa mia, e una signora nera in abito da lavoro perfetto che sta andando a lavorare a Wall Street. Quindi non esiste un tipo umano unico, quando si vive a New York».
Mr Ribot, lei è mancino ma suona come se non lo fosse. Questa difficoltà ha contribuito a formare il suo stile originale e sperimentale? Mr Cunnigham, Lei ha detto che Virginia Woolf sperimentava come Hendrix sperimentava sulla chitarra. Cosa significa sperimentare in letteratura? 
Ribot: «Sono mancino però ho cominciato a suonare con la mano destra. Anche Jimi Hendrix, che ha appena citato, era mancino, però anche lui ha trovato il trucco capovolgendo la chitarra in modo da poter comunque suonare con la mano che più gli aggradava. Ho imparato ad adattarmi negli anni, all’inizio mi sono reso conto che non ero il ragazzino più veloce della strada quindi ho imparato a suonare applicando il concetto dell’economia, risparmiando energie. Su questa caratteristica poi ho costruito il mio stile e il mio suono»
Cunningham: «Per quanto riguarda questa relazione tra Virginia Wolf e Jimi Hendrix, da giovane ero più interessato a Jimi Hendrix, pensavo di poterlo imitare e non ha funzionato. 
Ribot: «Michael, ci ho provato anch’io, inutilmente...»
Cunningham: «Lessi per la prima volta uno dei libri di Virginia Wolf a quindici, sedici anni. Non avevo mai letto un’opera così bella dal punto di vista letterario; leggere le sue frasi musicali, equilibrate, piene di forza, ha fatto sì che mi dicessi che lei era tanto brava con la lingua inglese quanto Jimi Hendrix con la chitarra. Non sono diventato né Virginia Wolf né Jimi Hendrix, anche se assomiglio più a lei! Comunque quello che ho imparato da Virginia Woolf è che la lingua scritta riguarda tanto la musica quanto il significato. Sperimentazione è una parola complicata, e non so più neanche cosa significhi sperimentare. Nel momento in cui leggo un brano scritto dai miei studenti guardo subito il ritmo. Spiego sempre: se una persona che non conosce l’inglese legge un brano scritto da voi, deve comunque avvertirne il ritmo. Per esempio nel mio primo libro praticamente non c’è punteggiatura, solo punti e virgole. E questo crea una certa musicalità. Sì, credo che il ritmo sia l’aspetto fondamentale».
Uno scrittore prende un tema, lo sviluppa, lo porta in una direzione inaspettata, ci fa vedere un personaggio che si interroga poi si interroga sul modo in cui si interroga, fino ad arrivare a un esito sorprendente. Lo stesso penso sia per un musicista che improvvisa sul palco: parte da un’idea e va dove lo porta l’ispirazione di quel momento. In questa ricerca, in questo lanciarsi in un assolo c’è anche qualcosa di spaventoso?
Ribot: «Diciamo che se si fa la cosa giusta è spaventoso, io spesso mi preparo per fare la cosa giusta anche se non riesco sempre a creare quella magia. Quello che ho trovato interessante nella lettura di Michael, poco fa, è il concetto di alzare sempre l’asticella anche a costo di sembrare pazzi. La musica ha diverse funzioni, credo debba raccontare il soldato morto assiderato nella campagna di Russia ma anche quello che riesce a tornare a Parigi. Lo voglio far ballare». 
Cunnigham: «Se un artista non prova timore, non è un artista. Se non si ha paura, se non si alza l’asticella, non funziona. La ricerca è continua, ininterrotta. L’artista deve sempre dirsi: questo non è abbastanza bello o buono, posso fare di meglio, questo libro posso scriverlo meglio, questa musica posso suonarla meglio. L’arte, l’artista funziona così: deve sempre avere lo scopo di andare avanti per potere affrontare e raccontare le nostre paure».