La Stampa, 20 luglio 2024
Wallis Simpson, più dello scandalo potè il suo guardaroba da vera regina
Non è mai stata la «principessa del popolo». Ha inseguito per tutta la vita senza ottenerlo il titolo di Sua Altezza Reale. Per la Regina Madre sarebbe rimasta per sempre «quella donna». In compenso re Edoardo VIII ha rinunciato per lei al trono d’Inghilterra diventando il Duca di Windsor. Lei è Wallis Warfield. Nata nel 1896 in una famiglia della media borghesia di Baltimora a neanche vent’anni salì all’altare con Winfield Spencer. Poco dopo cambio di guardia. Nel 1928 arriva Ernest Simpson, proprietario di una ditta di spedizioni. Con lui visse diverso tempo in Cina e i pettegolezzi attribuiscono proprio alla parentesi in Estremo Oriente, grazie alla frequentazione dei bordelli cinesi, l’abilità seduttiva della futura duchessa.
Secondo Anne Sebba, che le dedicò una biografia – That Woman: The life of Wallis Simpson, Duchess of Windsor (2011) – Wallis avrebbe sofferto di una forma di ermafroditismo e imparò nei boudoir di Shanghai tutto quel che c’era da sapere sul sesso. Pare che fossero state proprio queste particolari abilità a far perdere la testa e il cuore a Edoardo VIII che per questa americana due volte divorziata l’11 dicembre 1936, abdicò al trono cedendo la sua corona a Giorgio VI, padre della regina Elisabetta. Al di là delle malelingue, calcolatrice e volitiva, Wallis era sempre elegantissima. I suoi look essenziali con un tocco glamour, generalmente non rinunciavano a un tocco esotico come i colletti alla coreana o il cheonghsam, tradizionale vestito cinese.
Il 4 gennaio 1937, all’epoca del suo fidanzamento con il Duca, Time le dedicò una copertina acclamandola donna dell’anno. Wallis, che fino a poco prima era stata definita da quella linguaccia di Cecil Beaton, fotografo e scrittore, assiduo collaboratore di Vogue: «un’americana di quint’ordine, comune, volgare, stridula», divenne «la donna più ricca di glamour di chiunque altra». Da quel momento, per quasi quarant’anni è stata in cima alla Best Dressed List, la lista delle signore meglio vestite al mondo. Il suo stile unico, fatto di mise minimal accostate a gioielli stratosferici è entrato nel mito. Oltre ai gioielli «sentimentali», veicolo di segreti messaggi d’amore che le regalava il marito, storica è rimasta la sua passione per le spille: da quella piumata Deux Plumes (1936) in diamanti e rubini di Van Cleef & Arpels, alle pantere di Cartier di cui la duchessa possedeva una piccola, preziosissima, collezione.
Con un innato spirito critico Wallis diceva di sé: «Non sono bella per cui l’unica cosa che posso fare è vestirmi meglio di tutte». Il suo amore per un’eleganza nitida e lineare faceva parte del suo DNA ed emerge fin dalle lettere che, prima di sposare il Duca, scriveva a Bessie, la sua zia prediletta: «Sembriamo tutte degli uccelli neri. Visto che per risparmiare mi vesto quasi sempre di nero ho il privilegio di poter andare ai funerali senza spendere».
La sua maestra di stile fu la grande arredatrice e socialite americana Elsie de Wolfe, conosciuta pure con il suo nome da sposata: Lady Mendl. Musa di uno stile raffinatissimo, mai disgiunto da un pizzico di eccentricità, Elsie insegnò a Wallis come vestirsi introducendola negli atelier di Mainbocher e Schiaparelli. Se dal primo la futura duchessa si fece realizzare l’abito da sposa in una particolarissima sfumatura di azzurro che richiamava il colore dei suoi occhi, passata poi alla storia come «Wallis Blue», da Elsa Schiaparelli ordinò alcuni vestiti per il suo corredo di nozze. Tra questi il più famoso è senz’altro l’abito «Aragosta». Realizzato con Salvador Dalì fu prontamente immortalato da Cecil Beaton in un servizio sulle pagine dell’edizione americana di Vogue. Tra i designer preferiti di Wallis c’erano anche Chanel, Givenchy e soprattutto Dior. Storica è rimasta la frase del Duca: «Wallis ama Parigi perché non è così distante da Dior». Così, impartendo lezioni di stile alle donne di mezzo mondo, Wallis si consolò dal cruccio di non essere diventata regina. —