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 2024  luglio 20 Sabato calendario

Intervista a Jasmine Paolini

Jasmine si è fermata a due passi dalla Luna (due palle break con Krejcikova sul 5-4 del terzo set nella finale di Wimbledon), ma che importa: anche Michael C0llins, che rimase in orbita mentre Armstrong e Aldrin allunavano, ha fatto la storia.
Ed eccola, l’esploratrice del tennis italiano, in diretta su Zoom da Lucca, dove è tornata subito dopo la straordinaria passeggiata sui prati di Londra, e diretta a Parigi, destinazione Giochi, prossima tappa di una vita da globetrotter. Di Wimbledon le sono rimaste addosso le emozioni, il numero 5 nel ranking mondiale che farà di lei una delle favorite del torneo olimpico (sulla terra del Roland Garros, due set su tre, tabellone da 64 giocatori: sorteggio giovedì prossimo, via il 27 luglio) e un ciondolo che porta al collo e mostra orgogliosa: «Ce l’avevo in testa da un po’, mi piaceva. Prima di ripartire per l’Italia me lo sono regalato».
Ha fatto bene, Jasmine. Una finale a Wimbledon cambia l’esistenza?
«Solo a livello di selfie, per il resto direi di no. La risonanza che ha Wimbledon non ce l’ha nessun altro torneo del circuito, nemmeno il Roland Garros. Mi riconoscono di più, forse».
Quante volte ha rigiocato la partita con Krajcikova nella sua testa?
«L’ho analizzata con il mio coach, Renzo Furlan, la sera stessa dopo cena. Sognare troppo, a volte, fa paura: sono stata vicina a vincere Wimbledon, ma non a sufficienza».
Furlan dice che, sotto pressione, le viene troppa fretta. Quei momenti possono essere gestiti meglio?
«Se lo dice Renzo, mi fido. È vero, però sotto quell’aspetto sono già migliorata. Siamo ripartiti da lì, nel momento in cui, qui a Lucca, abbiamo ripreso gli allenamenti in vista di Parigi. Però la pressione è un fattore che avverti in torneo: i salti di qualità più netti si fanno quando in palio c’è il risultato».
Il ricordo più bello delle due settimane sul verde?
«Il match point contro la Vekic, in semifinale, partita complicatissima. Ho alzato gli occhi verso il mio team in tribuna, come faccio sempre, e lì accanto, cosa che accade di rado, ho visto seduta la mia famiglia. Ho pensato quanto fosse bello avere lì mamma, papà e mio fratello. La loro esultanza nel momento della vittoria è stato il momento in assoluto più carico di emozione di tutto il mio Wimbledon: la felicità condivisa è ancora più intensa».
Il sorriso è lo stesso di sua madre Jacqueline.
«Decisamente sì! Papà è una pasta d’uomo ma mamma è più espansiva, chiacchierona, solare. Le somiglio parecchio».
Che cosa la fa arrabbiare, invece?
«Le bugie».
Lei ne dice?
«Mi sento male solo al pensiero di raccontarle».
Il tennis è sempre stato marginale ai Giochi, Jasmine. Quest’anno, grazie a Jannik Sinner e a lei, invece, aspettiamo il torneo olimpico come se fosse il quinto Slam, ha notato?
«È vero: io ho vissuto Tokyo ma di Parigi si parla molto di più, e con più enfasi. Avverto un grande entusiasmo. Merito del tennis italiano, che sta vivendo il suo periodo d’oro».
Tokyo che Olimpiade fu?
«Particolare. Noi tennisti siamo abituati a passare il tempo nel nostro team, invece in Giappone era richiesta molta condivisione, a cui non ero abituata. Per di più, c’era il Covid: bolla, mascherine, controlli. Non ero riuscita a socializzare con nessuno. Persi al primo turno, in due rapidi set. L’atmosfera mi era piaciuta, anche se non me la sono minimamente goduta».
Da Parigi, cosa si aspetta?
«Oddio io non sono il tipo di persona che chiacchiera con tutti, al di là delle apparenze. Mi lascio andare quando so di potermi fidare. Però mi piacerebbe avere più scambio con gli azzurri degli altri sport: confrontarsi, cercare di capire le realtà altrui, fa sempre bene».
Tennis, nuoto, atletica: emerge un team Italia multietnico, molti figli di un genitore straniero, atleti contemporanei e cittadini del mondo. Non ha la sensazione che lo sport viaggi molto più avanti della società?
«Dirò una banalità ma lo sport è una scuola di vita che migliora il mondo. Conoscere culture diverse già da piccoli, e penso alla mia mamma polacca e ai parenti del Ghana, apre la testa. Sentirmi parte di un mix di culture mi fa guardare agli incontri che farò all’Olimpiade con ancora più curiosità».
Parteciperà alla cerimonia sulla Senna?
«Mi piacerebbe: l’inaugurazione di Tokyo fu un momento pazzesco. Spero di non dover giocare il giorno dopo».
Si è mai immaginata portabandiera, magari a Los Angeles 2028?
«Oddio, no! C’è chi ha vinto ori olimpici, e lo merita ben più di me».
Il sogno proibito del doppio misto con Sinner è tramontato?
«Tre eventi (singolo, doppio, misto) concentrati in una settimana sono troppi. Fisicamente sarà un torneo molto duro e con Jannik non ne ho mai più parlato».
Inseguire una medaglia da n.5 del mondo mette più responsabilità o dà più motivazione?
«Il tennis è un ambiente strano: arrivare in cima è difficile ma confermarsi lo è di più. Tutte sanno chi sei, tutte vogliono batterti, tutte ti affrontano con energie moltiplicate. Alla medaglia non voglio pensare troppo: è già difficile rimanere focalizzati sull’obiettivo, non desidero relazionarmi con altre pressioni e tensioni».
Furlan non sarà a Parigi.
«Ecco, un’altra sfida sarà giocare senza il coach. Renzo mi dice sempre che le partite le prepariamo insieme però poi in campo ci vado io, da sola. Ai Giochi dovrò essere due volte brava».
Un podio olimpico lenirebbe la delusione della finale persa a Wimbledon?
«Sarebbe una grande gioia, una cosa notevole. Però Wimbledon è Wimbledon. La risposta è nì».