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 2024  luglio 20 Sabato calendario

Non c’è solo Kamala Harris I dem spingono per candidare i governatori (o Michelle)


Joe Biden punta i piedi, infuriato. Ma è improbabile che possa andare allo scontro elettorale con Trump avendo contro i sondaggi, gran parte del suo stesso partito e i finanziatori della campagna che hanno già chiuso i rubinetti.
C’è, comunque, grande incertezza su tempi e modalità della sua sostituzione e anche sul metodo di individuazione del nuovo candidato. La vice, Kamala Harris, rimane la favorita per il suo ruolo istituzionale e perché sarebbe difficile giustificare il suo accantonamento davanti all’elettorato femminile e a quello di colore. Ma c’è anche chi – i finanziatori che non vogliono spendere soldi per una partita persa in partenza ma anche diversi leader democratici – pensa che, col partito ormai entrato in una fase politica molto traumatica, si debba andare oltre le mezze misure. Kamala, un tempo più impopolare di Biden, ora nei sondaggi è risalita, ma comunque sorpassa di poco il presidente: meglio, allora, puntare su un altro personaggio con più chance.
Come abbiamo scritto ieri, sondaggi interni dei democratici (non attendibili in quanto a metodo statistico) indicano che i governatori di Michigan, Pennsylvania e Maryland, Whitmer, Shapiro e Moore, e il senatore dell’Arizona Kelly avrebbero maggiori possibilità di battere Trump o, almeno, di far conquistare ai democratici seggi essenziali per mantenere il controllo di uno dei due rami del Congresso. Con Whitmer e Shapiro favoriti in quanto alla guida di due dei tre Stati senza i quali per i democratici è sconfitta sicura.
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I finanziatori non vogliono spendere soldi per una partita persa in partenza
Nell’incertezza di un’emergenza elettorale senza precedenti circolano, ovviamente, anche altri nomi: il ministro dei Trasporti Pete Buttigieg e la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar non sono molto noti ma hanno una buna presa sul pubblico e vengono comunque da quel Nord-Est industriale che sarà determinante nelle urne.
I finanziatori, però, guardano i sondaggi e vedono che, in teoria, il personaggio che ha maggiori possibilità di battere Trump è Michelle Obama. È una suggestione che riemerge periodicamente: lei ha escluso più volte e in modo netto la possibilità di una candidatura. E i sondaggi che la danno 20 punti avanti a Trump si riferiscono a una generica popolarità del personaggio. Una Michelle candidata ottiene molte meno preferenze: un testa a testa con Trump, anche se, comunque, va meglio degli altri democratici in campo. Si farà convincere da un appello estremo a sacrificarsi per salvare la democrazia? Improbabile. E, almeno per ora, anche inopportuno, visti i suoi rapporti «difficili» col clan Biden.
Comunque c’è tempo: che Biden faccia il passo indietro ora o aspetti la convention del 19 agosto per avere gli onori dell’incoronazione e, solo dopo, decidere autonomamente il ritiro, il partito non potrà formalizzare la scelta di un nuovo candidato prima degli «stati generali» che si riuniranno a Chicago tra un mese. Abbiamo visto ieri come può trasformarsi la convention a seconda di come cambierà la posizione del ticket Biden-Harris. Va ribadito che solo Biden, che è presidente e ha conquistato il 99% dei delegati durante le primarie, può fare il passo indietro. Ma una regola della convention – regola organizzativa di partito, quindi tutta da interpretare e mai testata fin qui – dice che in caso di eventi straordinari (come una condanna penale del candidato) il vincolo di voto dei delegati viene meno. Ci sarebbe, quindi, un piccolo margine per defenestrare Biden. Nessuno, per ora, ci vuole pensare. Sarebbe surreale, oltre che devastante. Ma sarebbe surreale anche una convention di democratici chiamati ad acclamare un candidato del quale invocano il ritiro.