la Repubblica, 20 luglio 2024
Quando, in Russia, i giornalisti erano (più o meno) liberi
A Mosca i giornalisti occidentali sono stati a lungo nel mirino, ma nell’intera storia russa non esistono precedenti di un giornalista straniero condannato per spionaggio, come è accaduto ieri a Evan Gershkovich, il corrispondente del Wall Street Journal che ha ricevuto una sentenza di 16 anni di carcere, dopo un processo a porte chiuse, senza prove e senza testimoni.Quando nel 1990 arrivai in Russia come corrispondente diRepubbblica avevo ancora un agente della Milizia all’ingresso di casa per verificare chi veniva a farmi visita e il telefono controllato dal Kgb, eppure i membri della stampa estera potevano scrivere quello che volevano, senza timore di essere arrestati. Come Aleksandr Yakovlev, il braccio destro di Mikhail Gorbaciov, mi raccontò nei giorni tumultuosi e pieni di speranze della fine dell’Urss, la glasnost era stata il grimaldello per scardinare il totalitarismo senza che i fedelissimi della dittatura se ne accorgessero: o, meglio, quando se ne accorsero era troppo tardi. Quella parolina, che in russo significa “trasparenza”, diventò sinonimo di libertà di pensiero e di stampa: la forza prodigiosa che per una breve stagione ha dato ai russi una democrazia, sebbene fragile, caotica e corrotta.Da allora, in un quarto di secolo al potere, Vladimir Putin ha riportato tutto non solo ai tempi precedenti la perestrojka gorbacioviana, ma a quelli spaventosi di Stalin, il tiranno con cui si misura l’attuale capo del Cremlino. Ha messo la censura ai media di stato. Ha chiuso i pochi organi di informazione indipendenti, come la radio Eco di Mosca eNovaja Gazeta, il quotidiano di Anna Politovskaja, la reporter assassinata nel 2006 (nel giorno del compleanno di Putin), il cui direttore Dmitrij Muratov è stato insignito con il Nobel per la pace.Poi, con le nuove leggi introdotte nel 2022 subito dopo l’invasione dell’Ucraina, ha minacciato con 15 anni di prigione chiunque, russo o straniero, osi chiamare “guerra” il conflitto ucraino: leggi che hanno portato, soltanto nel primo anno, a 779 procedimenti penali per opinioni espresse su internet, all’esilio di oltre mille giornalisti russi, al blocco di più di un milione e 300 mila siti web e 364 testate di informazione. Il Grande Fratello orwelliano non avrebbe saputo fare di meglio. La speranza è che il reporter americano possa ora venire scambiato con un killer al servizio dello spionaggio russo, in carcere in Germania, definito da Putin “un patriota”. Ma in Russia rimangono soltanto un pugno di giornalisti occidentali impegnati a fare coraggiosamente il proprio mestiere, alla mercé di un sistema che li considera potenziale merce di scambio per ricattare l’Occidente.