La Stampa, 19 luglio 2024
Intervista a Marco Pontecorvo
«Quando si porta sullo schermo un caso drammatico la chiave vincente è l’umanità nel raccontarlo». Parola di Marco Pontecorvo, figlio d’arte di Gillo Pontecorvo, che ha firmato serie come Alfredino – Una storia italiana e Per Elisa – Il caso Claps, vincendo con quest’ultima uno speciale Nastro d’Argento Grandi Serie e un Maximo Award all’Audio-Visual Producers Summit 2024. Sta preparando una nuova serie tratta dai romanzi di Andrea Vitali e l’adattamento cinematografico di Il caso Kaufmann di Giovanni Grasso.
Partiamo da Per Elisa – Il caso Claps: nel portare sullo schermo un caso di cronaca sconvolgente a cosa bisogna badare soprattutto?
«A non puntare mai il dito su nessuno, ma a cercare di capire. Si tratta di famiglie che attraversano tragedie, bisogna comprendere il dramma che vivono anche quando sono passati alcuni anni».
La violenza sulle donne è un fenomeno diffuso e allarmante, come ci si regola nel raccontare un serial killer?
«Noi siamo stati attenti a non dipingere Danilo Restivo come un mostro. Purtroppo è diventato un serial killer, però se fosse stato preso in tempo magari era contenibile, poteva essere curato. Non sono uno psichiatra, è solo un’impressione personale. Spesso la vulnerabilità rende aggressivi. La fragilità di non poter reggere una situazione, se non viene affrontata dialetticamente o non si hanno gli strumenti per risolverla, prende altre strade, quelle che purtroppo spesso leggiamo sulle cronache».
Da regista trova più stimolante raccontare eroi o antieroi?
«A me è capitato tante volte di fare storie su eroi moderni che non avevano neanche voglia di essere eroi, ma si sono ritrovati ad esserlo perché la realtà mette di fronte a situazioni in cui vanno prese delle decisioni».
Pensa al suo primo film Pa-ra-da?
«Quella dell’artista di strada Miloud Oukili fu una storia che mi colpì tanto, ha tirato fuori più di mille bambini dai canali sotto Bucarest (i “boskettari”, ragazzi difficili, figli di nessuno, fuggiti di casa, tossicodipendenti, ndr). Da lì mi è capitato più volte di raccontare storie di questo genere, emozionano anzitutto me stesso e, quando vengono bene, me ne propongono altre».
Sta preparando una nuova serie Rai – dai romanzi gialli di Andrea Vitali, come sarà?
«Leggera e solare, una commedia di situazione. I nostri padri d’altronde ci hanno insegnato che le commedie contengono tutto, anche il dramma. Questa sarà una storia corale, il racconto di Bellano, un paese sul Lago di Como. Sarà una sfida interessante trovare il calibro giusto per restituire in otto episodi quello che Vitali con la sua penna magnifica è riuscito a raccontare».
Si è fatto un’idea del motivo per cui il pubblico ama o tanto i suoi romanzi?
«Perché c’è un’analisi ficcante e una descrizione sagace della società, dei vizi, di come siamo noi e di com’erano gli anni di primo Novecento, Vitali parte dal 1930 per arrivare al ‘70 con la saga di Maccadò. Quando legge una cosa scritta bene il pubblico risponde, ora sta a noi trovare una modalità di racconto televisivo altrettanto travolgente».
Ci anticipa un nome del cast?
«Antonio Folletto, interpreterà lui Maccadò. Non lo conoscevo, dopo un caffè e un provino ho capito che era l’attore giusto. Non solo è bravissimo, ma ha una cifra di ironia fin dallo sguardo che mi ha convinto».
Teme la reazione dei lettori?
«Ovvio. Sono i critici più temibili, se non ritrovano la storia che hanno amato come l’hanno vista loro si arrabbiano. Però poi se poi è uguale dicono che è troppo uguale, se è diversa criticano le differenze. La verità è che ognuno di noi quando legge un libro si fa il suo film o la sua serie in testa. Si immagina il personaggio come vuole. Basta vederlo con il volto di un altro per percepire uno scarto».
Quindi?
«Nella consapevolezza che non si riuscirà mai ad accontentare milioni di lettori bisogna aver fiducia della propria visione, a un certo punto. Portare avanti quella e sperare che piaccia a chi la guarda».
Cosa vorrebbe che il pubblico si portasse a casa di questa nuova serie?
«Lo sguardo ironico che ha Vitali sulla realtà, fondamentale per affrontare il momento difficile che viviamo».
Poi girerà Il caso Kaufmann dal libro di Giovanni Grasso. Una storia vera?
«Sì, è la storia tragica di un amore negato. Un ebreo, Kauffman, viene condannato a morte dalla corte di Norimberga per il reato di “inquinamento razziale”, perché dicono abbia fatto l’amore con una ragazza ariana, cosa che non ha mai fatto. Una storia universale, un Romeo e Giulietta tra negazione e appartenenza, che in quel contesto storico fa capire tante cose, specie oggi. Sarà una produzione internazionale, tutta in inglese, perché la storia si svolge gran parte a Norimberga e una parte in Italia».