Corriere della Sera, 19 luglio 2024
Tra difesa e industria green, ecco la nuova Ursula
STRASBURGO I numeri dicono più di tante parole. Ancora di più i sorrisi. E l’espressione della candidata designata alla presidenza della Commissione europea per un secondo mandato, Ursula von der Leyen, nel suo terzo e ultimo intervento in plenaria prima del voto degli eurodeputati, faceva capire che sentiva di avere la riconferma a portata di mano.
Del resto la copresidente dei Verdi Therry Reintke, pochi minuti prima, era stata chiara: «Se mi chiedete se Ursula von der Leyen è una candidata verde con un programma verde, vi direi no» ma «è cruciale una maggioranza di gruppi democratici pro-europei in questa casa, perché dobbiamo evitare che la destra arrivi al potere e abbia un impatto sul processo decisionale in questa Unione europea». Von der Leyen, fedele al suo stile da mediana, ha portato a casa il risultato con 41 voti di scarto rispetto alla maggioranza parlamentare richiesta. Cinque anni fa i voti di differenza erano stati appena 9. Ha condotto la campagna elettorale senza attaccare nessuno – fatta eccezione per l’estrema destra e sinistra – anche quando veniva aggredita dai suoi presunti alleati (perché sapeva che ne avrebbe dovuto poi chiedere il sostegno) e allargando il più possibile la platea del dialogo, anche rischiando come quando aprì all’ipotesi di lavorare con Fratelli d’Italia (che ieri ha votato contro) attirandosi critiche feroci. Una strategia che non ha rinnegato ma anzi ha rivendicato ieri nonostante il «no» della premier italiana: «L’approccio è stato quello di dire a tutti coloro che sono a favore dell’Europa, dell’Ucraina, dello Stato di diritto, che offriamo di lavorare insieme. E il risultato credo parli da sé. È stato giusto».
Le promesse
Il suo discorso davanti ai deputati riuniti in plenaria al Parlamento europeo, così come le linee programmatiche spiegate in trenta pagine, avevano l’obiettivo di dare risposte a un ampio spettro politico, dalle delegazioni più di destra del Ppe a quelle più di sinistra dei Verdi, passando attraverso i Socialdemocratici e i Liberali, strizzando l’occhio ai Conservatori. Von der Leyen ha presentato la sua «visione di un’Europa più forte che offre prosperità, che protegge le persone e che difende la democrazia, che garantisca equità sociale e sostiene le persone, che attua quanto concordato in modo equo. E che si attiene agli obiettivi del Green deal europeo». Non ha entusiasmato la platea tranne in due passaggi e quando ha citato David Sassoli. La prima volta quando ha criticato la visita del premier ungherese Orbán a Mosca, ma senza nominarlo espressamente, e definendola «una missione di appeasement» e non di pace. La seconda quando ha detto che «le nostre società non sono mai state così polarizzate dalla fine della Guerra Fredda. Noi difenderemo sempre la libertà. Ma la libertà non vuol dire avere il diritto di prendere tutto. Non è chi urla di più e chi è meno rispettoso ad avere diritto al potere. È lo Stato di diritto che rispettiamo, che ci unisce». E poi Sassoli: «Noi europei siamo la migliore speranza in un mondo pericoloso. E la speranza dell’Europa resta nelle vostre mani, le forze democratiche». Messaggi chiari. Obiettivo raggiunto.
Il bilancio
Nei cinque anni passati, von der Leyen è andata incontro alle richieste dei governi (però li ha anche irritati come con il viaggio in Israele. E ieri ha aggiustato il tiro: «Lo spargimento di sangue a Gaza – ha detto – deve cessare ora»). Ma nello stesso tempo ha accentuato la propria influenza e della Commissione, anche in settori che non erano di sua stretta competenza. Le crisi che si sono susseguite, dal Covid all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con gli effetti a catena della corsa folle dell’inflazione e dei prezzi energetici, le hanno permesso di giocare un ruolo di primo piano attraverso la legislazione d’urgenza. E ha scatenato l’invidia del presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Sotto il suo mandato è stato anche raggiunto l’accordo sul nuovo Patto per la migrazione. Il nome di von der Leyen resterà associato alla svolta storica di Next Generation Eu. È lei che l’8 aprile 2022 andò a Kiev, insieme al capo della diplomazia Ue Borrell, per consegnare al presidente Zelensky la cartellina gialla e blu con il questionario per l’adesione all’Ue. Un processo che sarà «basato sul merito», come ha ripetuto ieri. Von der Leyen è la «madre» del Green deal. Il «padre» Timmermans è stato rinnegato, ma la presidente tedesca ha cercato di cambiarne la narrazione. Nei primi cento giorni di governo ha promesso un «nuovo Deal industriale green». Ha anche promesso un nuovo fondo per la competitività europea. Senza però specificare da dove arriveranno i soldi per non perdere il voto dei deputati dei Paesi frugali. Ha promesso un commissario per il Mediterraneo, uno per la Difesa, uno per la Casa. Un vicepresidente per la Sburocratizzazione. La lista è lunga. Dovrà tradurre le parole in azioni. Ma da lunedì.