Corriere della Sera, 19 luglio 2024
Il sentiero stretto
Il discorso con cui ieri Ursula von der Leyen ha chiesto il voto dei parlamentari europei non è stato certo privo di ambizione: «I prossimi cinque anni definiranno il posto dell’Europa nel mondo per i prossimi cinque decenni. Decideranno se plasmare il nostro futuro o se lasciare che venga plasmato dagli eventi o dagli altri. In un mondo di avversità e incertezza credo che l’Europa debba scegliere di restare unita e osare pensare e agire in grande. Per essere all’altezza dell’eredità del nostro passato, per fare i conti con il presente e per preparare un’Unione più forte per il futuro».
A lcune di queste proposte affrontano nodi che negli ultimi cinque anni spesso hanno diviso Bruxelles dalle imprese europee: «Abbiamo bisogno di un nuovo approccio alla politica di concorrenza che deve riflettersi nel modo in cui valutiamo le fusioni, così da tenere pienamente conto dell’innovazione e della resilienza». Proposte che, ha detto la neo-presidente, in parte riprendono l’imminente relazione di Mario Draghi sulla competitività dell’Ue.
«Rivedremo anche le regole sugli aiuti di Stato per sostenere gli investimenti nell’edilizia abitativa, in social housing, e aiuti all’efficienza energetica». Sulla possibilità di ricorrere all’imposizione di dazi «utilizzeremo tutti i nostri strumenti di difesa commerciale dove e quando necessario». Il ruolo determinante dei Verdi nel voto che l’ha confermata appare più volte: «Il Clean Industrial Deal deve permetterci di investire di più e insieme nelle tecnologie pulite e strategiche, e nelle industrie ad alta intensità energetica. Il futuro dell’industria tecnologica pulita e all’avanguardia deve essere costruito in Europa».
Chiaro anche l’impegno sulla Difesa. «Il nostro lavoro nei prossimi cinque anni si concentrerà sulla costruzione di una vera Unione Europea della Difesa. La spesa combinata dell’Ue per la Difesa è insufficiente, troppo disgiunta, disparata e non abbastanza europea. L’Europa può fare molto per rafforzare l’industria europea della Difesa».
Nuova, e forte, anche l’enfasi sull’eccellenza scientifica e sulla necessità di sostenere la ricerca fondamentale.
Ma come finanziare tutto questo? La Banca centrale europea ha recentemente stimato che solo per la transizione verde, la digitalizzazione e il rafforzamento della sua difesa militare, l’Ue avrà bisogno di circa 5.400 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi nel periodo 2025-2031, cioè quasi 800 miliardi all’anno di nuovi investimenti. Questi non includono i progetti per l’innovazione e la ricerca. Il totale è quindi nell’ordine di 1.000 miliardi l’anno. Se non vogliamo contare su un improbabile aumento del risparmio delle famiglie europee e non vogliamo tagliare consumi pubblici e privati, nè investimenti già programmati sarà necessario attingere a risparmio dal resto del mondo. Lo scorso anno l’Ue ha registrato un avanzo nella bilancia dei pagamenti, cioè ha destinato a investimenti all’estero, 330 miliardi di euro. Non solo questi investimenti netti all’estero andranno azzerati, ma sostituiti con un ingresso in Ue di risparmio dal resto del mondo pari a quasi 700 miliardi l’anno. Una cifra che influirà sui tassi di interesse nel mondo e rafforzerà il cambio euro-dollaro.
Questo a livello di equilibri internazionali. Ma c’è poi il problema della ripartizione pubblico-privato: quanti di questi 1.000 miliardi l’anno potranno essere finanziati dal settore privato e quanti invece richiederanno un intervento degli Stati? Scrive Ursula von der Leyen: «Questa sarà la Commissione degli investimenti: dobbiamo sbloccare i finanziamenti necessari per la transizione verde, digitale e sociale, massimizzare gli investimenti pubblici e fare leva sul capitale privato, riducendone i rischi, in stretta collaborazione con la Banca europea per gli investimenti».
Io penso che il ruolo degli investimenti pubblici sarà essenziale, anche al di là della Difesa e della ricerca fondamentale. E questo pone un problema di spazio disponibile nel bilancio degli Stati membri: neppure la Germania ha lo spazio necessario nel proprio bilancio. È evidente che questo programma richiede che venga ripetuta l’esperienza di finanziamento con debito europeo comune iniziata con il Next Generation Eu (cioè il nostro Pnrr). D’altronde la neo-presidente, pur con grande cautela, lo ha fatto capire quando ha detto che bisogna spendere di più, meglio e insieme, e ha fatto riferimento all’esigenza di ripetere l’esperienza Sure, il programma che durante la pandemia ha finanziato con debito comune i sussidi di disoccupazione.
Speriamo che la cautela di Ursula von der Leyen non divenga il segno della nuova Commissione. Perché i suoi progetti senza il ricorso a debito comune si rivelerebbero impegni vuoti.