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 2024  luglio 18 Giovedì calendario

Leggere come atto di civiltà


È tornato il tempo triste e feroce in cui, come nell’Italia degli anni Cinquanta, l’ideologia conta molto di più della letteratura, tornando a ripartire il mondo dei libri tra sommersi e salvati. Non pochi editori, annusando il vento che gonfia i nuovi vessilli, assecondano il fenomeno. È confortante, allora, ritrovarci tra le mani libri che rimettono al centro i valori estetici, l’imprescindibilità della lettura in sé, la storia nobile di editori italiani di lungo corso, l’importanza delle librerie di cultura impegnate in un lavoro di resistenza. Comincio da Leggere pericolosamente di Azar Nafisi, una donna che fu espulsa dall’università della capitale iraniana per essersi rifiutata di indossare il velo, oggi cittadina statunitense, autrice del bestseller Leggere Lolita a Teheran (2003), meritoriamente riproposto da Adelphi, in cui si leggono le cinque lettere sulla letteratura scritte tra il 2019 e il 2020 e indirizzate al padre morto nel 2004. Tra i citati ci sono, tra gli altri, Toni Morrison e Zora Neale Hurston, Margaret Atwood, David Grossman, Salman Rushdie e Ray Bradbury, persino Platone. Si tratta d’un magnifico esempio di critica letteraria intesa come critica della vita tout court, di felicissima disposizione narrativa, in cui autobiografia e interpretazione convergono fino al punto che, in vista degli obiettivi del discorso, i personaggi d’invenzione contribuiscono in modo non diverso dalle persone in carne e ossa: vita e letteratura, insomma, come chiasmo. Sullo stesso versante, e scritto in una prosa smagliante, è il libro di Guido Vitiello, La lettura felice. Conversazioni con Marcel Proust sull’arte di leggere (il Saggiatore, pagine 190, euro 20,00), in cui l’autore confessa d’aver fatto «l’impossibile per sfuggire a Marcel Proust», capitolando però «nella fase più dura del cosiddetto lockdown, la primavera del 2020». Proust è così presente da dislagare continuamente sulle pagine di Vitiello. Il critico però tiene ferma una sua convinzione: che non bisogna pensare alla lettura «come un esilio indispettito dal mondo, bensì come a un accesso diverso al mondo, che passa dal tenere in mano un libro». In L’Italia dei libri (Einaudi, pagine 276, euro 18,50) Tommaso Munari ci racconta brillantemente e con dovizia di informazioni «l’editoria in dieci storie», muovendo da Milano e arrivando a Palermo, nella convinzione che la vicenda dell’editoria sia una «storia di un’emancipazione» da altri due mestieri: quelli del tipografo e del libraio. Ecco, allora, Emilio Treves («ebreo in casa, editore fuori»), proto eroe nella difesa degli interessi della sua categoria, «per la tutela del diritto d’autore e per la promozione della lettura», in un senso che «trascendeva qualunque logica del profitto». E poi, per citarne solo alcuni: Hoepli, Laterza, Mondadori, Einaudi, Zanichelli, Feltrinelli. La leggendaria libreria Shakespeare and Company si trova a Parigi nei pressi di Notre-Dame. Il suo direttore letterario, Adam Biles, ha raccolto venti interviste nel volume Conversazioni letterarie ora tradotto da Massimo Ortelio per Neri Pozza (pagine 256, euro 20,00), con un’introduzione di Sylvia Whitman, la figlia di George, colui che la aprì nel 1951: «tre stanzette, allineate come le carrozze di un treno, senza corrente elettrica e con un giaciglio ricavato fra gli scaffali». Whitman ci ricorda rapidamente la storia di quella che è ormai il luogo privilegiato di happening che sono vere e proprie epifanie, ciò che l’ha resa davvero unica. Cita Lewis Buzbee, che così definisce le librerie indipendenti: «Una splendida combinazione di solitudine e comunità». Adam Biles, che di questi eventi è stato coprotagonista, afferma che, mettendo insieme altre venti interviste completamente diverse da queste, il risultato sarebbe stato «altrettanto interessante». Ammette però che a essere selezionate siano state quelle in cui l’ospite di turno «sceglie il percorso più incerto, ma anche più eccitante, di un nuovo pensiero». Nel libro troviamo un solo italiano: Carlo Rovelli. Gli altri: Percival Everett, Olivia Laing, Marlon James, George Saunders, Karl Ove Knausgard, Colson Whitehead, Hari Kunzru, Leila Slimani, Reni Eddo-Lodge, Jesmyn Ward, Jenny Zhang, Annie Ernaux, Rachel Cusk, Meena Kandasamy, Madeline Miller, Miriam Toews, Katie Kitamura, Claire-Louise Bennett, Geoff Dyer. Ogni lettore può avventurarsi tra queste pagine nel modo che più gli aggrada, alla ricerca di risposte (ma soprattutto di domande), che abbiano a che fare col proprio sistema di gusti e valori. I percorsi qui tracciati sono diversissimi. Scrive Biles: «Ho avuto il piacere di cogliere più di un momento in cui gli scrittori sembrano dialogare direttamente fra loro, sia pur a distanza di mesi». Ecco, allora, Annie Ernaux e Carlo Rovelli che si interrogano sulla natura e sulla cognizione del tempo, mentre Jesmyn Ward, Hari Kunzru e George Saunders possono lasciarsi suggestionare dal «ruolo dei fantasmi nella letteratura». Il proposito di riflettere «sulle difficoltà che si incontrano tentando di disegnare i contorni di una vita sulla pagina», riguarda quasi tutti, da Rachel Cusk e Meena Kandasamy a Claire-Louise Bennett, da Percival Everett, concentrato sulla questione dell’identità, al norvegese Karl Ove Knausgard, l’autore di un’imponente e ipnotica autobiografia, La mia lotta, gratificata da un planetario successo di critica e di pubblico, che l’ha costretto da subito a riflettere, stante un evento traumatico come la morte del padre, sui labili confini tra biografia, romanzo e autofiction. La verità fondamentale che alla fine però ci resta è semplicemente questa: si scrive sempre pensando a un interlocutore.