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 2024  luglio 18 Giovedì calendario

Dalla e De Gregori, l’intervista ritrovata

«Può un giornalista di Repubblica girare con una macchina così? Va bè che fa alternativo, però…». A prendermi in giro è Francesco De Gregori e accadeva esattamente 45 anni fa. La verità è che non ricordo con quale automobile andai a trovare lui e Lucio Dalla mentre provavano in un ampio spazio nei dintorni di Roma il megaconcerto che poi fu chiamato Banana Republic. Doveva essere una macchina piuttosto sgangherata la mia, succedeva in quegli anni, un po’ come vestirsi con le giacche sformate comprate nei mercatini. Era il leggendario tour che riportò un senso di festa e condivisione nella musica italiana afflitta, come tutto il Paese, dalla cupezza degli anni di piombo.
Avevo un vago ricordo, sapevo di essere andato con un potente registratore portatile, il leggendario Nagra, alle prove del concerto, ma la cosa più incredibile è stata ritrovare la bobina in una scatola marroncina su cui era scritto semplicemente Dalla & De Gregori. Ho subito capito che doveva essere proprio quel documento. Ancora più miracolosamente, quando sono andato in uno studio specializzato a riversare il nastro in digitale, ho scoperto che dopo 45 anni di cantine e scatoloni, il nastro era intatto e perfettamente conservato. Mi sono ritrovato in mano un tesoro, un’ora di materiale delle prove di Banana Republic con tanto di intervista ai due protagonisti. Con grande emozione ho iniziato ad ascoltare e la prima frase che è venuta fuori è la presa in giro di De Gregori, mentre in lontananza si sente la band che prova sulle note diSomething dei Beatles.
Era un palco enorme, era la prima volta che due italiani provavano a portare musica negli stadi. «Ma tu che ne dici?» chiede De Gregori a bruciapelo, io rispondo: mi sembra bellissimo, sono frastornato. Non avevano paura di sembrare troppo mastodontici? «No, non credo» risponde Lucio, risoluto, mentre De Gregori spiega che inizialmente questo problema se l’era posto, ma alla fine andava bene così. Ma che succederà sul palco? «Tante cose, tipo che io so tutti gli accordi delle sue canzoni e lui delle mie, così le parole, c’è il forte desiderio di fare cose insieme, anche perché le nostri voci insieme non sono poi così brutte, non si annullano, né fanno a gara tra di loro, alla fine è come cantare in una gita scolastica in pullman» spiega De Gregori e Lucio ribatte «in realtà è un gruppo, unico, invece di essere due cose separate, è un gruppo con Dalla e De Gregori che cantano, poi c’è tanta più musica rispetto a come le canzoni suonano nei dischi, staremo sul palco per due o tre ore». «Se non ci cacciano via…» scherza De Gregori, «ogni canzone ha preso un andazzo musicale che non aveva».
Ma ci sarà qualcosa di nuovo?, chiedo ricordando che l’intero progetto era nato da una canzone che i due avevano scritto e inciso quasi per gioco pochi mesi prima, dal titolo Ma come fanno i marinai. «Non sappiamo ancora. Ma ci saranno novità, ci stiamo lavorando» dice De Gregori e Lucio precisa: «Intantoc’è la nostra versione diUn gelato al limon di Paolo Conte, totalmente riarrangiata. Poi ci sarà una canzone americana che ha tradotto Francesco». «Non so se la conosci» mi chiede De Gregori, «s’intitola Banana Republic, la cantiamo insieme, è di un certo Steve Goodman», no, rispondo io non la conosco, e in effetti era piuttosto sconosciuta all’epoca. In realtà il titolo originale aveva una “s” in più, era plurale, le “repubbliche delle banane”, poi la scelta di De Gregori fu di togliere la “s” plurale, così che alla fine la “Banana Republic” sembrò essere per forza dicose la nostra. Me lo raccontano così come l’ho riportato, perché in quel momento nessuno ancora sapeva che il tour, che diventò un disco e poi un film, si sarebbe chiamato così, fu una decisione presa su suggerimento dei dirigenti della Rca a tour già iniziato. Diventò solo in seguito Banana Republic, ma quell’immagine fotografava l’Italia in uno dei momenti di cambiamento più potenti degli ultimi decenni mentre stava uscendo, a fatica, dagli anni di piombo, cercando di ricucire l’atroce ferita del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro e cinque uomini della sua scorta. Ma il Paese voleva voltare pagina, e quel tour negli stadi fu un segnale: concerti di massa, aperti, senza il minimo incidente, fuori dalla claustrofobia e dalla paranoia che si era diffusa anche nel mondo dei concerti. Nel 1976 De Gregori era stato messo sotto processo alla fine di un suo concerto a Milano e durante un concerto di Lucio arrivò una molotov sul palco, tanto per capire il livello della follia che aveva invaso ilmondo musicale. «Stiamo anche lavorando perché si senta bene, faremo venti giorni di prove musicali, e ci sarà un impianto progettato espressamente per il tour di 40000 Watt. Costerà una montagna di soldi. Abbiamo cercato di contenerci, ma non ci siamo riusciti…» racconta Lucio ghignando, e De Gregori chiosa: «Certo, se andavamo in giro voce, chitarra e tastiera avremmo guadagnato moltodi più. Come dice l’Unità, siamo più megalomani degli americani».
Si conversa amabilmente finché Lucio non dice: «Vuoi sentire un pezzo o due?». E chi sono io per rifiutare un’offerta così allettante? I due compagni di viaggio raggiungono i musicisti sul palco e mi godo il privilegio di ascoltare per la prima volta quello che i due intendono fare nel tour. Lucio scalda il sax, poi parte laversione rock di Un gelato al limon,Francesco parte agguerrito: «Libertà e perline colorate ecco quello che io ti darò…». Si alternano le due voci, ed è già un brivido ma De Gregori è pronto con i versi giusti, Lucio non li ha ancora imparati e al suo turno fa grammelot, nel ritornello le due voci armonizzano, subito dopo a cappella Lucio prova Stella di mare, il racconto notturno di “dormi già, pelle bianca, come sarà la mia faccia stanca, provo a girare il mio cuscino, è una scusa per venirti più vicino”, De Gregori si lancia nella sua Gesù bambino, e poi prova l’attacco di Addio mia bella Napoli,un’altra delle novità che saranno nel tour, finché arriva Banana Republic ma De Gregori la canta in inglese mentre Lucio avverte: «Poca voce in spia», che è una delle frasi più tipiche che si sentono alle prove dei concerti. Del resto siamo in mezzo alla fabbrica, nel pieno dei lavori, e ascolto le canzoni che prendono forma pezzo dopo pezzo. Per Pablo,nel silenzio, si provano solo i cori, poi ancora capolavori che scorrono,Quale allegria, Raggio di sole,
con Lucio che usa il sax per fare da controcanto a Francesco.
Sono due amici che si vogliono bene, diversi che più diversi non si potrebbe immaginare, ma che nella loro diversità si attraggono e si completano. Prima di andare via, con la mia macchina alternativa e sgangherata, sento le note de L’ultima luna.
E immagino la bellezza del tour che pochi giorni sarebbe partito alla conquista dell’Italia.