la Repubblica, 18 luglio 2024
Oltre 2 milioni non ce la fanno Si rivolgono al racket dei debiti
ROMA – Oltre due milioni di famiglie escluse dal circuito ufficiale del credito. Un sistema bancario “parallelo” dove girano più di 80 miliardi di euro. Difficile misurare il ricorso di famiglie e imprese al credito illegale: quello che è certo è che quello che emerge è poco, pochissimo. Dall’ultima Relazione annuale del Commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura risulta che nel 2023 sono state esaminate solo 1.167 posizioni, e buona parte delle domande non sono state accolte. «Mentre negli altri Paesi Europei sono state predisposte misure per chiudere le situazioni di sovraindebitamento – afferma Giovanni Pastore, fondatore dell’associazione “Favor Debitoris” in Italia i debiti sono stati venduti ai fondi speculativi. E quindi per oltre due milioni di famiglie non rimane che il circuito finanziario parallelo, con tassi di usura tra il 25 e il 30%».
Secondo una rilevazione del Codacons l’80% circa delle famiglie escluse dal credito risiede nel Mezzogiorno, che continua ad essere terreno fertile per la criminalità economica. Tra le ragioni delle nuove richieste, secondo l’organizzazione consumeristica, «le difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo dopo l’impennata dei tassi dell’ultimo biennio, difficoltà nel pagamento delle bollette energetiche, ma anche la dipendenza da gioco d’azzardo».
Quando si parla di criminalità organizzata non per forza ci si riferisce alla mafia. «Ci sono strozzini di ogni tipo – spiega Francesco Calderoni, professore di criminologia dell’Università Cattolica di Milano e ricercatore del Centro Transcrime – oltre alle organizzazioni esistono anche i “free lance”, che hanno ampia disponibilità di liquidità e ricorrono ad altri free lance per recuperare il credito facendo ricorso alle minacce».
Gli strumenti legali per venire fuori da situazioni di questo tipo sono poco usati perché «le imprese per avere aiuti devono dimostrare di essere a posto dal punto di vista fiscale e contributivo, e spesso non è così», afferma Calderoni. Vale anche per i privati: «Secondo l’indagine di una grande società di recupero crediti il 40% dei debitori è disoccupato. Lavora cioè in nero per cercare di proteggersi dai creditori», dice Pastore.