12 agosto 2019
Oggi 230 - Crisi di governo
Quindi si va a votare...
«Non è mica detto».
Scusi, Salvini ha dato il benservito a Di Maio e la Lega ha presentato una mozione di sfiducia contro il premier Conte. Il Pd non ha mai voluto avere niente a che fare con i cinquestelle, ancora 15 giorni fa, in una direzione, hanno ripetuto il loro no a qualunque intesa con loro...
«Le circostanze cambiano, i partiti sono dei camaleonti, si adattano alle circostanze. Quindici giorni fa era un’altra epoca».
Quindi?
«I partiti si trovano di fronte a una realtà assai sgradevole per loro: se si va a votare a ottobre o a novembre (o magari a dicembre), Salvini prende il 37-38% e per cinque anni governa lui. Ha anche chiesto i “pieni poteri”, una locuzione che crediamo pronunciata per sbaglio, ma che insomma ha allarmato tutti».
L’unico governo possibile, in base ai soli numeri, sarebbe un M5s-Pd.
«Ci sta lavorando Renzi. Ma aspetti: ci sono due schieramenti in campo. I salviniani vogliono far presto, lo schieramento avverso vuole allungare il brodo il più possibile per arrivare al 9 settembre».
Che succede il 9 settembre?
«È già stato messo in calendario per il 9 settembre il taglio dei parlamentari, che porterebbe i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Si tratta di una legge costituzionale, che va cioè approvata due volte dalla Camera e due volte dal Senato. La Camera ha già pronunciato i suoi due sì, il secondo sì del Senato è atteso appunto per il 9 settembre. A quel punto la legge sarebbe varata e bisognerebbe aspettare tre mesi prima di sciogliere il Parlamento perché è previsto che contro una legge di riforma costituzionale non approvata da almeno i due terzi di deputati e senatori si possa indire un referendum. Prima di mandare tutti a casa bisogna vedere se qualcuno proporrà questo referendum. Passati i tre mesi, se nessuno avrà chiesto il referendum, si dovranno comunque perdere altri due-tre mesi per ridisegnare i collegi, a questo punto necessariamente molto più ampi. In questo modo si arriva ad aprile-giugno».
E che governo ci sarebbe, nel frattempo?
«Qui entra in gioco il Pd. Ricorderà che l’anno scorso Zingaretti non era contrario a un accordo con i cinquestelle e Renzi si mise di traverso impedendoglielo con l’hashtag #senzadime. Adesso Renzi ha ribaltato il suo pensiero: evitiamo di consegnare il Paese a Salvini, alleiamoci con i grillini. Renzi non vuole le elezioni anche per questo: sa che ai suoi, nelle liste dei candidati democratici, toccherebbe appena il 10% dei posti. L’idea delle elezioni a Zingaretti piace proprio per derenzizzare il partito».
Ma il capo del Pd non è Zingaretti? Se Zingaretti dice che si va a votare...
«Il problema è che i deputati e i senatori sono al 70% renziani. Mettici anche i seguaci di Franceschini, che vuole un governo M5s-Pd, e vedrai che Renzi può contare sull’85-90% degli eletti. Se Zingaretti insiste, Renzi farà la scissione, creando un gruppo parlamentare nuovo che si chiamerà Azione civile. Zingaretti però sta cedendo: gli è stata prospettata l’ipotesi di un governo che duri tutta la legislatura, con il seguente programma: tagliare i parlamentari, fare la legge di bilancio (altrimenti si va in regime di prorogatio, cosa che non succede da quarant’anni), ridisegnare i collegi, varare una nuova legge elettorale proporzionale coerente cioè con il nuovo assetto del Parlamento, rinsaldare i legami con l’Europa, a questo punto di nuovo benevola verso di noi, tirarla fino al 2022 in modo da eleggere il successore di Mattarella. Guardi che è difficile, ma non impossibile».
Altrimenti?
«Un governo elettorale, che si limiti a portarci alle elezioni. Oppure un governo a tempo, che ci faccia arrivare al prossimo giugno».
Berlusconi da che parte sta?
«Dice che sarebbe pronto ad aiutare Salvini per il voto subito, se Salvini si impegnasse a fare liste comuni con lui alle elezioni dandogli pari dignità. Un’ipotesi che mi pare improbabile. Bisogna fare i conti anche col sentimento di deputati e senatori che non hanno nessuna voglia di andare a casa dopo appena diciotto mesi di legislatura. Specialmete quelli, come i berlusconiani, che non hanno quasi nessuna speranza di essere rieletti».