29 ottobre 2018
Oggi 189 - Il centododici
C’è stato dalle parti di Torino questo caso grave, dal quale abbiamo capito che il problema del numero d’emergenza 112 non è ancora del tutto risolto.
Di che si tratta?
L’altro lunedì, a Orbassano, un signore di 81 anni è stato colto da ictus. È caduto per terra, e si è ferito al punto da perdere sangue. La figlia ha chiamato il 112 e non rispondeva nessuno, si sentiva la musichetta. Erano le 18.15 e fino alle 19.02 nessuno dall’altra parte ha sollevato la cornetta. Più di tre quarti d’ora. Il poveretto è arrivato in ospedale con molto ritardo, e ancora adesso è gravissimo. L’ictus richiede di intervenire con la massima urgenza...
E come mai non rispondevano?
Era una giornata di forte pioggia, la linea era intasata per le decine di allagamenti domestici. È il guaio del numero unico: di regola, in una grande città (per esempio Roma), arrivano 350-400 chiamate al giorno. Ma d’estate, quando si moltiplicano gli incendi, i telefoni del 112 possono essere assaliti anche 5000 volte o magari 1.200 volte in un’ora. Stessa cosa quando piove molto: gli allagamenti, qualche struttura che cede sotto il peso dell’acqua. Chiamano tutti, e chiamano tutti lì.
Non sarebbe meglio avere un numero per ogni tipo di problema?
Il dottor Danilo Bono, un medico che ha partecipato alla creazione del 112 (e lo difende), ricorda che un tempo i numeri per chiamare un’ambulanza erano un migliaio. Adesso chiamare il 112 è quasi un automatismo. Ed è lo stesso numero in tutta Europa. Persino se uno, influenzato dalla televisione, chiama l’americano 911, la telefonata viene smistata al 112. Quindi comodissimo: risponde un operatore che si fa spiegare di che si tratta e poi collega l’utente alla centrale di polizia o dei carabinieri o ai vigili del fuoco o al servizio sanitario. Ogni operatore ha sotto gli occhi un elenco di 32 tipologie di intervento. Qualche volta perde tempo a capire qual è la struttura a cui è meglio rivolgersi. Qualche altra è troppo impegnato e non risponde proprio.
Bisogna aumentare il personale?
Secondo i sindacati sì. Sarebbe anche importante, dicono, che a rispondere al telefono non fossero civili addestrati sbrigativamente con corsi di due mesi, ma professionisti dell’emergenza, in grado di capire subito quel che è meglio fare. La faccenda è talmente seria che è stato organizzato per il prossimo febbraio un convegno interforze, alla fine del quale verrà prodotto uno studio da sottoporre ai politici perché prendano le decisioni necessarie.