Corriere della Sera, 16 luglio 2024
Intervista a Anthony Hopkins
Richard Nixon, papa Benedetto XVI, Adolf Hitler, John Quincy Adams, Galeazzo Ciano. E, ancora, Alfred Hitchcock, Pablo Picasso. Al catalogo dei personaggi storici interpretati con maestria nella sua lunga, e straordinaria, carriera Anthony Hopkins, già allievo al national Theatre di Lawrence Olivier, ha appena aggiunto Vespasiano. Imperatore dal 69 al 79 dopo Cristo, fondatore della dinastia Flavia che lasciò un segno indelebile, non solo politico, nella storia della Roma antica. A 86 anni l’attore gallese ha ripreso in mano un testo chiave come Storia della decadenza e caduta dell’Impero romano di Edward Gibbon per entrare nel clima di Those About to Die, la serie diretta da Roland Emmerich (a quattro mani con Marco Kreuzpaintner), scritta da Robert Rodat, in arrivo su Prime Video dal 19 luglio.
Cosa l’ha affascinata dell’imperatore Vespasiano?
«Non conoscevo bene la sua figura. Il suo è un periodo interessante della storia di Roma, ne sapevo un po’ da bambino, principalmente grazie ai fumetti. Mi sono reso conto di quanto sia stato centrale: ha cambiato il corso della storia, ha regnato a lungo, fondato la sua dinastia, iniziato la costruzione del Colosseo. Con la sua riforma fiscale e il consolidamento dell’impero ha portato unità e stabilità. E c’è anche un lato, diciamo, più personale».
L’eredità?
«Esatto. Si sente la sua preoccupazione per l’eredità politica, in un mondo dominato da fazioni, tra i due figli, Tito e Domiziano, pronti a tutto per il potere. Non estranei alle lotte fra fazioni opposte. Li interpretano Tom Hughes e Jojo Makari, ottimi attori giovani. Sono sempre felice di incontrare il talento».
Sta per arrivare anche il sequel del «Il Gladiatore». Perché l’antica Roma continua a essere così attuale?
«Viviamo in un mondo ricco di distrazioni, che ci servono per dimenticare le violenze del mondo. Armi di distrazione di massa sono sempre esistite, quella è stata l’epoca in cui sono diventate più sofisticate, secondo la regola di Nerone: panem et circenses. Dare alle persone quello che vogliono. Tutta la storia umana è lastricata da spargimenti di sangue e brutalità, lo vediamo anche oggi, ma la storia insegna. E il vostro paese è un punto di osservazione fantastico per capire la complessità del mondo».
In che senso?
«L’Italia, nel corso dei secoli, ha vissuto momenti atroci, ma ha prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e i maestri nel Rinascimento. La Svizzera ha avuto 500 anni di pace e democrazia, e ha prodotto l’orologio a cucù».
Sono arrivato
a un punto della vita in cui mi sono reso conto che la recitazione non è una grande scienza
Puoi applicare
il metodo Stanislavski ma alla fine conta solo un buon copione
Avete girato a Cinecittà, dove è nato il genere peplum. Come si è trovato?
«Quelli di Cinecittà sono tra i miei studios preferiti, ci ho lavorato altre volte, mi trovo benissimo. Mi piace stare lì. Vorrei fare un tributo all’arte dei designer italiani, i costumisti, gli scenografi. È straordinario, ogni dettaglio, e non solo i costumi, ma anche gli oggetti di scena, i calici, le spade, sono così ben fatte e costruite. I migliori artigiani del mondo, davvero».
Ha detto: «Recitare diventa più facile più si diventa vecchi». Forse lo sarà per lei, dall’alto dei due Oscar vinti (per «Il silenzio degli innocenti» e «The Father»), e di tutti i film e spettacoli realizzati.
«Lo rendo facile perché sono arrivato a un punto della vita in cui mi sono reso conto che non è una grande scienza. Sai, puoi fare Stanislavskij, applicare il metodo e tutto il resto. L’ho fatto, ho avuto dei buoni insegnanti, ma ho realizzato con gli anni che tutto è già nel testo, le parole del copione. Quello è il cuore del lavoro. E io ho avuto spesso copioni meravigliosi: Quel che resta del giorno, The Father, Il silenzio degli innocenti. Quello di Hannibal Lecter resta uno dei ruoli meglio scritti che ricordi».
Cosa consiglia ai colleghi a inizio carriera?
«Mi capita di osservare che gli attori giovani forse tendono a borbottare, sussurrare. Vogliono suonare sexy ma suonano solo noiosi. Quindi dico: parla chiaro, devi sapere il testo, impara la battute. Se sono ben scritte sei già a buon punto. E quello che impari portalo dentro di te, lascia che viva una vita sua, che venga tradotta dal tuo subconscio. Questo rende più facile recitare, non serve troppa preparazione o ricerca, non mi serve. Lo faccio per interesse personale, come in questo caso, ho letto di Vespasiano, ma non mi serviva per interpretarlo. La ricerca non ti porta da nessuna parte. Alla fine è solo una finzione, intrattenimento. Lo so che i duri e puri commenteranno “come fai a dirlo, è una cosa terribile da dire”. Beh, è la mia opinione. Ho lavorato con attori che ci mettono ore a prepararsi, mentre avei voluto dire: “impara le tue battute e presentati”. È facile, lo dico con ironia, ma ci credo davvero, parla chiaro, se no sei noioso. Un delitto per un attore».
A giudicare dal suo profilo Instagram sembra molto felice quando suona il piano o balla. Avrebbe potuto fare il pianista o il compositore, ha mai dei rimpianti?
«Nessuno. Suono il pianoforte, tutti i giorni, e dipingo. Mantiene il cervello in funzione. Sono arrivato a 86 anni, è andata bene così finora. E quindi continuo».