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 2024  luglio 17 Mercoledì calendario

Aldo Simeone ha scritto la vera storia de “L’isola dei femminielli”: il confino degli omosessuali a San Domino (Tremiti) durante il regime fascista

Aldo Simeone riesuma, come recita il risvolto di copertina, “un pezzo dimenticato della storia italiana”. L’isola dei femminielli, in libreria per Fazi, racconta il confino degli omosessuali durante il regime fascista. Un romanzo capace di svelare dettagli che le fonti ufficiali spesso finiscono col trascurare. Lo stesso autore, in una nota in coda al volume, puntualizza che “riempire con l’invenzione i vuoti della Storia è l’unico modo per farne una storia”. Ecco allora il pretesto drammaturgico. Il ventenne fiorentino Aldo è un meccanico spiantato che finisce nei guai a causa di “un paio di marchette, per tirar su qualche spiccio”. Subisce persino l’onta di un’ispezione per appurare “se la forma dell’ano fosse regolare”. Il codice penale Rocco, pur in assenza di un reato formalizzato contro l’omosessualità, viene piegato creativamente a qualsiasi sopruso, compreso quello di ritenere il supposto sesso contro natura un vizio contagioso. La soluzione è rastrellare i “pederasti” e dirottarli tutti insieme in una colonia in mezzo al mar Adriatico, al pari dei dissidenti politici. È la sorte che nell’autunno del 1939 spetta anche al ragazzo di vita Aldo che approda “su quell’isola di pochi cristiani e più bestie” che è San Domino delle Tremiti. È attraverso il suo sguardo che il lettore conosce una variopinta fauna di freak – per lo più “arrusi” siciliani coinvolti proditoriamente dal questore di Catania in una retata – che si appellano tra di loro con soprannomi femminili: la Picciridda, la Sticchina, la Bastarduna, la Peppiniella, la Fisichella, la Francisa. Vivono senza elettricità né riscaldamento né acqua corrente né servizi igienici in “due baracche strette e lunghe con il tetto spiovente e un paio di finestrelle sbarrate da grate”. Tuttavia la persecuzione concentrazionaria si converte per nemesi in una paradossale occasione di libertà nella consapevolezza di “come una prigione possa diventare casa, il confino un riparo”. Gli omosessuali sono liberi di mostrarsi come sono, vestirsi da donna, farsi riconoscere. Bramati clandestinamente persino da quegli stessi “ufficiali in orbace” che a parole li ripudiano. L’isola dei femminielli ha il merito di mostrarci come dentro l’orrore della segregazione sia stata possibile persino un’idea di comunità, di felicità. Sebbene “per gli arrusi la felicità non era abbastanza… Alla felicità, loro, preferivano l’amore, benché anch’esso fosse un gioco a perdere”.