il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2024
Intervista a Cesare Prandelli
La parola magica, il guizzo della chiacchierata con Cesare Prandelli, arriva quando si parla del capolavoro di Mikel Oyarzabal che ha consegnato il quarto titolo europeo alla Spagna nella finale di Berlino contro l’Inghilterra: “Il calcio deve essere figurativo. In quel gol c’è tutta la bellezza della cultura spagnola”. Entusiasmo a catinelle. Immaginiamo la scena: Prandelli seduto a godersi il match domenica sera, il salto in poltrona, l’applauso. Come lui, non solo il popolo della Roja, ma anche chi ama il calcio in profondità. Una notte e un’alba nel segno della lingua di Cervantes, con l’Argentina che ha vinto la Copa America superando 1-0 la Colombia con una stoccata di Lautaro Martinez al 112’, in cima a un match iniziato con 85 minuti di ritardo per il caos scoppiato ai cancelli dello stadio Hard Rock di Miami e con il supplemento di un intervallo durato 25’ per lo show di Shakira. Con i 120’ di gioco, si sale a quota 230’: la considerazione finale è che gli Usa, poche ore dopo l’attentato a Donald Trump, hanno ribadito di avere qualche problema tra organizzazione e sistemi di sicurezza.
Prandelli, la morale di questo europeo?
La Spagna è l’unica nazionale che ha la forza di rispettare la sua cultura. Da inizio secolo si è imposto nel paese un certo tipo di gioco. Si comincia da bambini e si va avanti fino a quando si ha la forza di stare in campo. Tecnica, possesso palla, fantasia, velocità. La Spagna è un unicum e non è un caso che abbia superato in questa manifestazione tutte le big d’Europa: Croazia, Italia, Germania, Francia e Inghilterra.
Il resto?
Il resto è un processo di globalizzazione che ha portato l’Europa a condividere un certo tipo di calcio. Si gioca tutti allo stesso modo e per questa ragione alla fine ci si diverte di meno.
Nessuna eccezione?
In parte l’Austria. È l’altra squadra che, guardando oltre la Spagna, ha mostrato qualcosa di diverso.
C’è stata la sorpresa Georgia: al netto del discorso dell’allargamento a 24 nazionali, qualcosa si sta muovendo alla periferia d’Europa.
In questo caso, la globalizzazione ha prodotto un effetto positivo. L’affermazione di un modello di calcio può generare, in nazioni un tempo lontane dai circuiti importanti, un processo di emulazione e quindi di crescita.
L’Inghilterra non vince mai: secondo ko di fila in finale, 58 anni senza sollevare un trofeo dopo il trionfo nel mondiale organizzato in casa nel 1966.
In semifinale e in finale l’Inghilterra non mi è dispiaciuta. Sicuramente la maledizione che accompagna la nazionale influenza a livello psicologico i calciatori, ma prima o poi riusciranno a superare quest’incubo.
Europeo deludente?
Torniamo al concetto di prima: se nel calcio prevale l’effetto fotocopia, alla fine giocano tutti allo stesso modo.
Fifa e Uefa hanno alzato l’asticella del numero delle partite: c’è sempre più calcio e, di conseguenza, a fine stagione c’è maggiore stanchezza.
Concordo, ma il discorso riguarda anche la Spagna che ha vinto sette gare su sette.
L’Italia è uscita con le ossa rotte dall’europeo e c’è poco da stare allegri con le eliminatorie del mondiale 2026 alle porte.
In Italia è arrivato il momento, per federazione e lega, di sedersi attorno a un tavolo per prendere di petto il problema. Bisogna capire che la nazionale è la squadra più importante e bisogna fare sistema. Fino a quando le istituzioni più importanti perseguiranno solo gli interessi propri, non si andrà da nessuna parte.
È legittimo temere di restare a casa per il terzo mondiale di fila?
Se non si farà sistema, il rischio è fondato.
I talenti del torneo tedesco?
I due esterni della Spagna, Nico Williams e Lamine Yamal. Non solo per il loro talento smisurato, ma anche per il messaggio che hanno inviato al mondo del calcio. Aggiungo un terzo nome: Donnarumma. È stato l’unico ad affrontare la Svizzera con lo spirito giusto.
L’ex coach di pallavolo Mauro Berruto, responsabile dello sport per il Pd, ha ricordato che con le leggi italiane Williams e Yamal non avrebbero avuto il passaporto italiano prima del compimento dei 18 anni: rispetto a nazioni più avanzate sul piano dei diritti civili, paghiamo anche questa tassa.
Mauro è una persona competente e di grandi visioni. Ha perfettamente ragione.
Tra le tante chiacchiere dopo il flop dell’Italia che cosa ha apprezzato di più?
Mi sono piaciute le parole di Fabio Caressa che ha definito il nostro calcio prigioniero della concettualità. Dobbiamo recuperare le basi popolari del calcio: tecnica, fantasia, estro.
Il ko contro l’Uruguay il 24 giugno 2014 è l’ultima partita dell’Italia a un mondiale: Prandelli era il ct azzurro e dopo l’eliminazione si dimise. Si può dire che quel torneo bloccò un processo di cambiamento avviato nel 2010?
Io mi feci da parte perché mi sembrava giusto e doveroso. Forse, se non ci fossero state le sconfitte con Costarica e Uruguay, la storia sarebbe andata in un altro modo, ma ormai non ha senso ripensare al passato.