la Repubblica, 16 luglio 2024
Il documentario su Celine Dion
Una cantante, anzi una brava cantante, che non può cantare. Sembra una tragica metafora dell’impossibilità, della sconfitta che può infliggerti la vita, una punizione crudele, ed è anche una amara e purtroppo reale casualità umana. Si può anche non essere ammiratori sconfinati di Céline Dion, io stesso posso dire di non nessere mai stato un suo fan, pur ammettendo le sue indiscutibili doti vocali, eppure la sua storia, splendidamente raccontata nel documentario Io sono Céline Dion, diretto da Irene Taylor, ora visibile sulla piattaforma Prime, è toccante, istruttiva, ha tanto da dirci e da insegnarci, per la spietata sincerità con la quale la cantante ha accettato di raccontare la sua disavventura, per la forza, la dignità con cui affronta la sua attuale condizione.
Iniziò 17 anni fa e le prime avvisaglie andarono guarda caso proprio a colpire la voce, il suo orgoglio, il suo strumento dorato. Il racconto è dettagliato e drammatico. Le successe di notare un irrigidimento nell’emissione del canto, note che rimanevano bloccate, le corde vocali che perdevano elasticità, proprio lei che era capace di virtuosismi, di proverbiali salti funambolici. Erano i primi segnidi una rara e poco decifrabile malattia, la Spr, ovvero sindrome della persona rigida, una brutta e pesante malattia neurologica che attacca i muscoli, compromette gradualmente lo sviluppo di attività fisiologiche.
Céline Dion aveva conquistato quello che aveva sempre desiderato fin da piccola, quando cresceva in una fredda cittadina del Québec nelle difficoltà materiali della sua umile famiglia che doveva crescere e nutrire ben 14 figli. Era riuscita a conquistare il mondo col suo talento, accumulando successo e platee adoranti, e il documentario alterna al racconto del presente scene trionfali, duetti, momenti esilaranti alla corte di Jimmy Fallon e di altri spettacoli televisivi.
Perché alla fine risulta anche simpatica, ironica, riesce a piacere praticamente a tutti mentre calorosa canta “cause I’m your lady and you are my man”, quando reintepreta All by myself e tanti altri successi, niente di più semplice, sentimentale, ma cantato con tale convinzione da strappare unapplauso a scena aperta, molto popolare, fin troppo, e per questo poco amata dal pubblico più orientato verso la black music o il rock.
Una diva molto “normale”, classica, ma alla fine capace di arrivare ovunque, e di saper attraversare mondi, per non dire di My heart will go on, la canzone d’amore più struggente che si possa immaginare, se non altro perché è quella che accompagna la storia d’amore che ha commosso il mondo nel filmTitanic.
Ma l’amara conclusione del documentario è che la sua vita sembra una favola al contrario, quella di una bimba che realizza i suoi sogni oltre ogni previsione e alla fine proprio lei va a incrociare un iceberg maligno che le porta via la bellezza del suo talento.