la Repubblica, 16 luglio 2024
E se Trump fosse morto? Il racconto di De Cataldo
Quando uno squilibrato, durante un comizio, assassinò il Candidato, il Presidente si precipitò sul posto e improvvisò un discorso. Dopo aver ricordato con parole alate la figura del suo defunto rivale, rivolse alle fazioni in lotta un invito angosciato alla moderazione. Assicurò che si stava facendo l’impossibile per scoprire eventuali complici dell’assassino, che comunque era stato prontamente individuato e neutralizzato. Garantì che le prossime elezioni si sarebbero svolte nel rispetto dei diritti di tutti. Salutato da un applauso tutt’altro che entusiastico, rientrò nell’albergo che lo ospitava insieme allo staff. Due guardie del corpo lo scortarono sin dentro la suite che gli era stata riservata. «Non vedevo l’ora» confidò agli angeli custodi il Presidente, sprofondando in una poltrona di design italiano. I due uomini si scambiarono un’occhiata eloquente.
L’uomo più potente del mondo occidentale, alle prese con la crisi più grave dalle Torri Gemelle, appariva un anziano stanco, provato, malfermo sulle gambe. Il Presidente aveva appena ordinato un doppio whisky con ghiaccio quando la porta si spalancò di colpo. Gli agenti impugnarono immediatamente le armi. Ma si placarono quando sulla soglia si stagliò l’inconfondibile, massiccia sagoma del generale Jack D. Ripper, il più influente consigliere militare della presidenza. «Jack» sospirò stancamente il Presidente «vieni, siedi accanto a me, vecchio mio. Altre cattive notizie?».
Il militare lanciò un’occhiata alle guardie del corpo. Il Presidente le congedò con un comando deciso. Ripper sedette accanto a lui. «Dobbiamo parlare» esordì, con un sorriso amabile. Qualche ora dopo, a metà pomeriggio, il Presidente lesse un messaggio a reti unificate. «Al popolo americano: sono responsabile dell’uccisione del mio rivale nella corsa presidenziale. Ho personalmente impartito l’ordine di uccidere e, consapevole del peso di questa mia sciagurata decisione, rassegno con effetto immediato le mie dimissioni. Saranno presto indette nuove elezioni e nel frattempo la continuità della vita istituzionale del nostro grande paese sarà assicurata dal governo provvisorio presieduto dal generale Jack D. Ripper».
Al termine della lettura, per lo sgomento di metà degli abitanti del pianeta Terra e il gaudio dell’altra metà, si fece saltare le cervella. Mentre i media di tutto il mondo impazzivano, il generale Jack D. Ripper si complimentò con il responsabile dell’unità di gestione dei programmi di intelligenza artificiale. Il video era un fake. Il Presidente si era rifiutato di leggere il comunicato e, nonostante l’età avanzata, aveva opposto una resistenza ammirevole a quellache Ripper aveva definito «la fase finale» (il termine “esecuzione” gli sembrava inappropriato). Sì, la tecnologia faceva davvero miracoli. La scena del suicidio era stato un colpo da maestro.
Il generale sapeva benissimo che né il Presidente né i suoi c’entravano con l’attentato, opera di uno squilibrato che era riuscito a beffare i più sofisticati apparati di sicurezza. Come aveva fatto? Beh, aveva giocato da dilettante in un mondo di professionisti. E l’imponderabile gli aveva dato unamano. Come adesso la stava dando a lui. Jack D. Ripper. L’uomo che avrebbe salvato l’America dai suoi demoni, riportandola alla grandezza di un tempo. L’idea gli era venuta da un vecchio film western. La storia di due gang che si distruggono secondo i piani di un bravo seminatore di zizzania. Così l’America. C’erano due fazioni in lotta, e si odiavano. Una lotta distruttiva, fratricida. Scaricare sul Presidente la responsabilità dell’attentato significava gettare benzina sul fuoco, aizzare i seguacidel Candidato e nel contempo seminare l’incertezza fra le fila dei presidenzialisti. E lui, Ripper, l’uomo dell’ordine, avrebbe mostrato ad entrambi il pugno di ferro. In nome, beninteso, dell’America. A tempo debito, ci sarebbe stata la rivelazione: il video era un fake, il Presidente un innocente, era stata tutta una manipolazione dei fan del Candidato. Tirava un venticello di guerra civile. Perché non trasformarlo in un benefico tornado? Furono sufficienti pochi mesi, e Jack D. Ripper indisse nuove elezioni, e le vinse trionfalmente.
Il giorno dell’investitura, mentre preparava il discorso, era decisamente fiero di sé. La situazione interna si era pacificata. Certo, erano state necessarie misure drastiche, e restava il problema delle cinquecento “piccole Guantanamo” interne in cui languivano gli irriducibili delle due fazioni. Era forse tempo di un’amnistia? Con calma, con calma... anche la situazione internazionale sembrava tranquilla. Il Presidente Ripper aveva anzi in mente di organizzare una grande conferenza mondiale per affrontare e risolvere tutti i problemi più urgenti: dalla guerra russo-ucraina alla questione palestinese, passando per il riscaldamento globale. L’America, ancora una volta al centro del mondo... Era alle prese col nodo della cravatta quando lo raggiunse telefonicamente il capo della Nsa. «I cinesi hanno attaccato la California». «Stai scherzando?». «Mai stato più serio. Il comunicato ufficiale del governo di Pechino dice che è loro preciso dovere intervenire per difendere gli interessi della Cina. In particolare, il loro investimento nel nostro debito pubblico». «A quanto ammonta di preciso?». Il capo dell’Nsa sparò una somma. Ripper impallidì.
Poi domandò se si aveva già una stima delle forze in campo: per essere chiari, quanti dannati cinesi stavano calpestando il suolo americano, in quel momento? Quando sentì la risposta, il pallore si accentuò. «E non è tutto, Jack. Anche i russi si stanno muovendo...». Cinesi, russi. Il neopresidente si allentò il nodo. Uno squilibrato... L’imponderabile... ma era davvero andata così?
Tirava un venticello di guerra civile Perché non trasformarlo in un benefico tornado?