il Giornale, 15 luglio 2024
Craxi cantautore
Cantautore per una sera a Roma: «Interpreto anche un classico del premio Nobel che ho riadattato»
Bobo Craxi, sul manifesto di stasera c’è scritto «cantautore».
«Un’idea di Charlie Gnocchi, stasera suoneremo e canteremo, ci sarà anche Simone Baldelli».
Salotto Tevere, Roma.
«Solo stasera eh. Se devo fare un comizio, non mi emoziono. Ma se suono, mi emoziono molto».
Canterà anche una (sua) versione in italiano di All along the watchtower di Bob Dylan: «Tutto è disordine e delirio, non vediamo nessuna soluzione».
«Quel brano ha sullo sfondo una metafora biblica che può essere adattata allegoricamente anche al passaggio tra Prima e Seconda Repubblica. Ad esempio, il cavaliere che avanza mi ha fatto venire in mente Silvio Berlusconi e in cima alla torre di guardia i giudici confiscarono i cannocchiali, beh, si capisce...».
Bobo Craxi ha 59 anni, «sono ancora un dirigente del Partito Socialista» ma qui parla di musica e ricordi. «Sono andato da Charlie Gnocchi con il mio libro e lui mi ha chiesto di fare qualche modifica su di un suo pezzo, Come stai male con quelle bretelle XXL, che faremo stasera, e lì è nato tutto». Ma di certo finisce qui, la musica resta una sua passione, peraltro straconosciuta, e si capisce che ne parla con competenza: «Ho iniziato a strimpellare con un maestro di chitarra classica che mi ha insegnato il solfeggio di Segovia, ma io preferivo De Andrè, poi negli anni ’80 suonavo nelle cantine con gli amici e anche sui Navigli a Milano». Ora è in treno, Vittorio Michele detto Bobo, torna da Napoli e torna anche indietro sui binari della memoria.
Di solito i figli che suonano non piacciono ai genitori.
«In realtà la mia è una famiglia un po’ canterina. Mio padre da giovane amava Natalino Otto, poi negli anni ’60 è andato in Brasile e si innamorò della bossanova, a metà anni ’70 mi portò un disco di Bob Marley. Gli piacevano Murolo, gli chansonnier, Paolo Conte (che venne a trovarlo a casa), Edith Piaf. Sa che per un periodo Chico Buarque visse al Raphael (l’hotel di Roma dove si fermava Bettino Craxi – ndr)? Lo passò a trovare anche Jobim».
Si dice che la canzone d’autore sia di sinistra.
«La cultura è tendenzialmente di sinistra, si oppone al cosiddetto sistema e crea quella condizione di intruppamento che Edoardo Bennato ha cantato benissimo».
Lucio Battisti non era considerato «intruppato».
«Ha cenato con mio papà a casa di Piero Sugar e Caterina Caselli. Battisti era molto legato alla storia della seconda guerra mondiale, alla caduta del regime e al dopoguerra e ne conversarono a lungo. Il giorno dopo telefonò al suo amico Claudio Bonivento e gli disse: A Clà, me sembrava de stà al cinematografo».
Si diceva della cultura.
«È evidente che per tanti anni la cultura è stata occupata dalla sinistra tradizionale. D’altronde la destra allora non esisteva o era residuale. C’era chi era praticamente organico. E chi con la politica aveva un rapporto più laico. Guccini era molto abile: sembrava comunista, ma non lo era. Fece anche concerti per il Psi. Gaber? Venne a casa nostra e basta. Enzo Jannacci invece votava comunista ma andava a trovare spesso mio padre, che amava la canzone milanese, i Gufi, Nanni Svampa con cui, tanto tempo dopo, ho anche suonato in un teatrino di Milano in una serata dedicata a Brassens».
Lei era amico di Lucio Dalla.
«Ho suonato con lui a una Festa dell’Unità ma pure a quella per il patrono di Manfredonia. Nel Castello di Carimate, dove c’erano gli studi di registrazione, lui sentiva quello che chiamava il fanstasma della creatività. Lì ha scritto, ad esempio, Telefonami tra vent’anni. Ho fatto musica anche con Ron e la band che si sarebbe poi chiamata Stadio».
De Gregori scrisse La ballata dell’Uomo Ragno in piena Tangentopoli: «Nascondono il passato parlando del futuro, e se trovano la cruna dell’ago se la mangiano di sicuro». Il riferimento era evidente.
«È una metafora, poi lui l’ha adattata con grazia al passare del tempo. Mi ha invitato a cantare, come tanti altri suoi amici, durante i suoi bei concerti romani alla Garbatella».
Pure Venditti parlò chiaro con l’Ottimista. E lei si arrabbiò criticandolo su L’Avanti.
«Una polemica che nacque e morì lì e mi diverte ancora».
La fine della Prima Repubblica, Tangentopoli.
«Invece di andare da un analista, allora perfezionai la bossanova. Nel pieno della tempesta, era il mio modo di fuggire, di stemperare».
Mai pensato di scrivere di musica?
«Non sarei stato un grande critico. Forse mi sarebbe venuto meglio fare il produttore. Odio la vanagloria, ma fui io a suggerire a Ottaviano Del Turco di fare un grande concerto per i giovani al Primo Maggio. E ho pure organizzato uno dei primi concerti contro il razzismo a Varese, fine ’80. La Prealpina di Varese ebbe da ridire, erano i primi vagiti del leghismo...».
Bobo Craxi cantante.
«Diciamo che sono un cantante confidenziale a cui non dare confidenza».
Mai pensato di fare dischi o concerti in tour?
«A ognuno il proprio mestiere. La musica è un mestiere che bisogna saper fare. Come la politica, dove vedo che ci sono anche dilettanti, anzi ne vedo spesso. Dopotutto loro stanno sul palco soltanto una sera».
Si ricandiderà?
«Non so, si può fare politica anche senza candidarsi. Come si può suonare la chitarra senza fare concerti»