La Stampa, 15 luglio 2024
A casa di Lamine Yamal
Quel 304 è tutto in queste cinque strade. Una panetteria, due campi di calcio, i bar con la foto di Lamine Yamal e soprattutto mille ragazzini che giocano a pallone. Rocafonda, periferia di Mataró, trenta chilometri da Barcellona, è diventata famosa e forse non era pronta per esserlo. Luoghi dove, non fosse per questo nuovo fenomeno, la nazionale spagnola non sarebbe così popolare. E invece la festa è totale. Il paesaggio che Lamine ha rivendicato davanti a tutto il mondo, esibendo il Cap nelle sue esultanze, non è la borgata degradata che i programmi scandalistici delle tv descrivono o “il letamaio”, secondo la definizione di un dirigente di Vox, che qui nessuno ha dimenticato. Certo, non c’è l’agio delle zone residenziali della costa, «siamo gente povera, ma abituata ad accogliere, anche perché qui, chi prima o chi dopo, siamo tutti stati accolti», racconta Dani Pérez, impiegato comunale, seduto al bancone del bar, «prima noi andalusi, poi i primi marocchini e ora i subsahariani». Ora le nazionalità sono 54 per una popolazione di 11 mila abitanti. E solo nella famiglia di Lamine ce ne sono almeno quattro, marocchina (paterna), guineana (materna), catalana (senza passaporto, ma con molta identità) e ovviamente spagnola.
L’attesa di Yamal è uno spettacolo. Inno, selfie, bandiere, fotomontaggi. Quando l’eroe serve l’assist a Nico Williams, al parco centrale della città partono i fuochi d’artificio. La piccola rappresentanza della famiglia Yamal rimasta in città si commuove, «gli mando subito un messaggio anche se sta giocando», grida il cugino Hamza. Mille emoticon, «manca una vita».
Ma la giornata è stata memorabile sin dal mattino. Si torna dalla spiaggia prima del tempo per prepararsi e nel frattempo c’è Carlos Alcaraz a Wimbeldon da tifare. Alla tv del bar “Frankfurt” (gestione cinese), a cinquanta metri dall’appartamento dove ha vissuto Lamine prima della Masía, c’è il conto alla rovescia: «Mancano 5 ore alla partita». La giornata, comunque vada è storica. Al centro sportivo del quartiere dove tutto è cominciato, oggi c’è un gruppo di adolescenti che improvvisa una partita, nonostante il caldo. Il livello calcistico è alto, cross d’esterno e mezze rovesciate, e il mix culturale anche di più, «sembra la nazionale spagnola, vero?», dice l’allenatore Sergio Martínez indicando subsahariani, marocchini, romeni, domenicani, messicani e via dicendo. Cosa c’entra Lamine Yamal con questi ragazzini? «Tutto – risponde senza esitare Martínez – ciascuno di questi ragazzini che vede qui davanti ha pensato almeno una volta nell’ultima mezz’ora di fare come lui. Quando si dice che è uno di noi non è retorica. Speriamo che se ne accorga anche qualche club, ci servono i soldi anche per le reti delle porte». Qualcosa nell’aria ci deve essere, «anche Marc Cucurella è sempre qui, sua moglie è nata dietro quella piazza», racconta il cameriere del ristorante Alsus. Tra queste strade è cresciuto anche Jorge Carrión, scrittore di grande successo in Spagna: «Il calcio in fondo è un episodio, la vera vittoria di questa zona è l’integrazione, difficile, contraddittoria, ma alla fine vincente».
Lamine qui viene a trovare la nonna, gli amici e i tanti cugini, uno dei pochi che ha evitato la trasferta a Berlino è Hamza Ziyad, che insegna alla figlia di tre anni (maglia di Lamine, manco a dirlo) ad andare in bici, «almeno non penso alla partita». Ziyad la butta in politica: «L’estrema destra ci odia, perché questa zona rappresenta la negazione dei loro discorsi».
Il quartiere in effetti la famiglia Yamal non lo ha lasciato mai. Il padre Mounir Nasraoui ora ha un appartamento a Barcellona, ma sta sempre al bar storico degli immigranti andalusi, “el Cordobés”. «Ora è in Germania, va e viene», racconta il proprietario Juan Carlos, che in una vetrina conserva la prima maglia da professionista di Lamine. Mounir, attraverso un nipote, ha mandato un video agli abitanti del quartiere, che viene proiettato prima degli inni nazionali nel maxi-schermo: «Siamo qui per sostenere Lamine e quindi tutti noi». Parte il coro, lanciato da Mohammed, lo speaker della festa. L’attaccante del Barcellona è legatissimo alla nonna, «e quando ha firmato il primo vero contratto ha voluto farle un regalo: una casa – racconta un vicino, José Maria Nunez, in una delle rare pause di una partita di domino -. Lei ha chiesto una sola cosa: che fosse qui a Rocafonda. Ed eccola qui, affacciata al campo dove il nipote ha cominciato a giocare». Anche il cugino Mohammed, Moha per i tanti amici, è a Berlino. «Gli fa da autista – racconta Cristian Blasco, bartender, popolarissimo nel quartiere – anche perché Lamine non ha l’età per la patente». L’orgoglio è la parola più diffusa. «La gente è felice, mai vista una cosa del genere», dice il sindaco di Matarò, il socialista David Bote, seduto al tavolino di un bar davanti al campo di calcio. «Il fatto è che questa storia è perfetta», aggiunge Manuel Guerrero Brullet, intellettuale che vive due strade più in là, «per una volta non venite qui a raccontare storie di delinquenza». Passa un rider che porta le pizze e suona il clacson: «Viva España! – grida – visto che non c’è il Marocco...». Due vetrine più in là c’era la panetteria dello zio Abdul, che sta per diventare un bar. Il nuovo proprietario Jaouad ha fatto i lavori, lasciando solo una cosa della vecchia gestione: il murale di Lamine con il 304. Bote, il sindaco, promette una grande festa per il ritorno dell’eroe, «ci dirà lui quando può, noi siamo pronti». Qui, nella nuova Spagna, hanno già cominciato a festeggiare. —